Callimaco.Roberto 1-2-3-4

sapiens@interfree.it
 

L'ATTESA TELE di RAGNO NINNOLO d'ORO TU COME LA MIA TERRA FOTOGRAMMA FINESTRA a MARE GRANITI DI CAPO TESTA
N
ON HO PARLATO DI MORTE
 
N GALLURA TRA RUGHE DI MONTE TRAMONTO AD ALGHERO
EQUILIBRI VARIABILI 8.9.2004—LA CORSA CONTINUA OPUS INCERTUM CONTEMPORANEITA' SETTEMBRE FIABA d'AMORE SORELLE di VEGLIA QUINDICI ANNI OMBRE su di NOI Della NOSTALGIA


TEMPERE d'OTTOBRE

 

NON PIU’ MORTE sul PIAVE IL RIFLESSO CONFORTO TULIPANI ROSSI GOCCE INCONTRO CRESTA ARGUTA TRA CHIARO ed OSCURO

SOTTO I PONTI

COMPAGNA di MILLE NOTTI OGNI 22 MINUTI LA PORTA CHIUSA ECLISSI OMAGGIO AL VATE QUANDO IL GIORNO PREGHIERA del DECADERE LITORALI SCENE DA UN SOGNO FRIULANO

 

 

 

 

 

LITORALI

Fuggiasco da labirinti del pernicioso
percorro litorali sorti dal fuoco
per mezzo del fluido sono spericolato
funambolo su equilibri di miracoli.

Mi allungo tra lembi di terra perversa
vedo le savane, le foreste pluviali
dove un tempo gazzelle e leoni
conoscevano le origini della pace.

Addentratomi nello sfoggio del preistorico
confino alle spalle inquinanti collettività
spazio nell’universale tripudio del vivere
giro e rigiro su me stesso, danza della gioia.

Domani raccoglierò l’ultimo tramonto
dal cielo della fantasia privo di stelle
lo userò come lama per scontornare
da opprimenti montagne i miei litorali.

 

 

 

 

 

 

SCENE DA UN SOGNO FRIULANO

Guariscimi dall’insonnia
quieta la mia fame di sogni
dolce volto pennellato nell’aria.

Profumo di primula carsica
nel marzo di dossi floreali
tuo il nome che scorre, saltellante
tra l’acque renose traspare
freschezza recita sincera
da sapidi pascoli a pastose doline.

Alle porte d’antichi invasori
morbido il cielo degli occhi
rimena seducente e turchino
dalla foto del tuo mare giuliano.
Faccio mia quell’immagine
m’accubito tra rosee gote
tra le pieghe del tuo sorriso
alveo d’un Tagliamento ribelle.

E vaghi pensieri per le andane del Tocai
dove l’alpe cangia da bruna in verde,
e qui conosco a tratti il tuo cuore
profili meditativi posarsi su malghe.
Sfioro faville della tua mente in versi
io, alare del focolare reggo i ceppi
tra il divampare del tuo comporre,
giovane fuoco che ardi sull’altopiano
mentre la neve va a spegnersi in mare.
 

 

 

 

 

 

 

QUANDO IL GIORNO

Riflesse dai suoi contorni le pieghe del sogno
sbocciano come fiori sulle altane oltre i muri
quando il giorno s’addentra e ti sorprende solo.
Il crocefisso dall’alto della scacchiera di luce
si rallegra di un altro tuo risveglio.
Hai dimenticato di metterti scarpe eleganti
l’altra notte non sei tornato dove t’aspettavano.
Hanno arso le pagine del tuo manoscritto
ma le parole l’hai serbate nel chiaro dell’astuccio,
tienilo nascosto ora, sotto il bavero liso del paltò
non verranno a frugare dove ristagna amore.
Per nulla peni nel non consumare frugali cene
filigrana di ragnatele ingioiella angoli vuoti.
Non ti curare della madia sghemba a barricare l’uscio
e di armadi colmi di marionette appese per malinteso.
Giù per la strada hai ceduto la tua libertà
mani esili da riscaldare ti attendono ancora
quando la sera smonterà e ti sorprenderà solo
 

 

 

 

 

 

 

ECLISSI

Le sagome livide d’esseri volanti
affliggono come coni d’ombra
le terre che disperdono miraggi
nell’eclissi di senni ruzzolanti.

Piomba la pioggia colore cobalto
deserti senza sabbie erano colline
mentre occhi ostili si posano gravi
io mi pento d’essere uomo vedente.

 

 

 

 

 

 

(ai 90 anni di Mario Luzi)

Dal castello dell’alta maremma
erano lontane invenzioni liriche.
L’avvento dello scalpitare notturno
ti condusse nel campo che fa da piazza
novellando le avventure del Mauriac.
E poi con vascelli a pelo d’erba
in quel di Boboli tra alti domìni
al circolo San Marco a coglier smorfie
ciarlando dottamente d’ermetici verbi.
Il tempo d’un brindisi e scrivesti
di segni di guerra tra le pagine
d’un gotico quaderno sfogliato
all'ombra d'uno Gnomone, fiore del tempo.
Ma non rinunciasti con attonito sguardo
ad allargare la ragione raccontando
storie di gente comune, pianta e sofferta,
tra le più diverse voci del mondo.
Toccasti persino l’animo abissale
tra sonno e morte in accordo
meditando vocazioni d’oriente, e
pellegrino la notte a chiedere asilo
nel vorticare di bambini e nottole
tra lampi e flutti di viaggi spagnoli
a lusingare grazie nell’unica tua fede.

Mentre altrove i giorni lavano menti
dove raramente qualche gabbiano appare
 
 
 
 

 

 

 

 

 

PREGHIERA del DECADERE

Credimi, Dio
Nella prateria di padri senza figli
ogni casa, ogni strada è frontiera
s’assediano pozzi e nulla si concede.
La terra è sordamente cinica, cupida
venti variabili cambiano la tua veste
diventi icona del bene e del male
ed il nome tuo è gioco su troppe piste.
Ricorda il colosseo dove il pagano
gioiva del cristiano sbranato
e lungo lidi d’Acri il mitico templare
s’esaltava del sangue turco versato.

Ed ogni giorno l’insipido cielo
si condisce con brani di carne
lacrime tra le tombe dei profeti
ad irrigare l’odio germogliato prima
che la sabbia incipriasse i palmi.
Per colpa d’una kefia svolazzante
quell’uomo ha perso il suo treno
sulla terra piange le care nere ciocche
svanite tra brusche nuvole ferrigne.
Posso io tra tali nauseabonde ampolle
avere ancora fede nell’azzurro tuo?
Posso io, Dio mio?
 
 
 

 

 

 

 

 

 

CRESTA ARGUTA



Avrei dovuto supporre
il tuo garbo nell’ospitare
i miei smunti sguardi
tra il verde ondulare.
Stai raspando
mutevoli direzioni
oltre recinti arrotati,
vispo fissi ogni mossa
mia e di noiose mosche
dimenando stizzito
l’escrescenza carnosa.
Ma chissà cosa pensi!
I tuoi versi di loquacità
non mi disturbano,
ammiro il tuo opinare.
Vorrei conoscere la materia
dentro la tua cervice,
vorrei sapere
come puoi vedere il mondo..
..è un rovello che m’inquieta.
Vorrei esserci
in quella minuscola testa,
sapere perché beccherò là
un mangime d’alta qualità,
poi lasciare a mezz’aria una zampa
e vantarmi della posizione,
far pompa gonfiando piume
realizzando l’idea che impera.
Ah quale godimento!
osservare voi poveruomini
scipiti ai margini dell’aia
inveirmi contro
parole senza senso…

 
 
 

 

 

 

 

 

TRA CHIARO ed OSCURO

Quando la notte
è chiara come l’alba
il buio dà corpo al nulla
dà al giorno
ragione di esistere.

Poi l’oscuro
frappone al chiaro
un velo sottile
che s’assottiglia
sino a divenire vuoto
che attira a sé
quel poco di tutto,
pulviscolo d'umanità
il meglio del vissuto
trama di noi stessi.

 
 

 

 

 

 

 


SOTTO I PONTI

Sotto i ponti passa l’acqua
non scorre, un poco si divincola.
Sulle rive ristagna la nebbia, rigida
accarezza il greto affranto
ed un’idea gelida d'orizzonte
si cela più avanti, a valle.
Tondeggianti colli tra sbuffi,
schiume d’inconsulte immagini
ed orgogliose serenità
si stagliano nel cavo dell’inquieto.

Tra primitive selve,
turbolenta e glaciale,
entusiasta e minacciosa
l’acqua sinuosa giunge.
S’insinua fra i pilastri
sotto le arcate e poi
senz’esitare si riversa
nel decadere della civiltà
dentro vicoli di mondi affollati
ove l’umor nero riecheggia.

Precipita, penetra le fessure
intarsi murali di volti crepati
dall'attonito contemplare,
lambiti dal roco dialettare
di giornate smorzate.
Sì, sotto i ponti…
sull’argine argilloso
fantasticare è reale
pur seguendo struggenti raggi
nell’incantare del liquido,
che non più limpido
ma scuro ed ombroso
sviolina canali al vento
tra ville e stille…intirizzito.

L’acqua prosegue
accoglie fiori orfani
ed occhiate meste sino a che
le sponde, svaniti i colori
si raccolgono al blando sollievo
risalendo onde d’un ricordo
rattoppato alle fronde di remote selve.
Passato l’ultimo ponte
solo scarabocchi, linee
per niente geometriche s’addensano,
bisbigliano al cuore appisolato
gli oleosi, ultimi battiti
prima d’affrontare
il temuto amore paterno.


 
 
 

 

 

 

 

 

COMPAGNA di MILLE NOTTI



Perduta tra fuoco e terra
compagna di mille notti
racchiudi nel nulla
il tuo cuore arido,
ebbra e fulgida
vestita d’immenso splendore
migri nei miei pensieri
in trasparenza d’amori.

Sospiri… tersa ..
dipingendo notti
ispiri…candida…
con rifulgere ostentato,
frantumi l’universo
scandendo indifferente
miserie a volte umane.

Osservi e ti nascondi
disperazione accogli,
emergi e sommergi
deridi solinga,
incoraggi e piangi
i tuoi figli abbandonati
ma tu mi persuadi,
mi persuadi ad anelarti.
 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
OGNI 22 MINUTI

Di campi brulli ed incolti
aridi di umidi stenti
non di vitigni ben allineati
ogni 22 disumani minuti
parlano le fosse scavate
e poi di nuovo riempite.

Luoghi di passi attecchiti
senza nome e preghiere,
i contadini spingono aratri
dietro macilenti bovi;
i pastori accanto al gregge
con un occhio all’agnello
e un secondo al seno che allatta.
E poi capanne per riposare.
I loro figli a volte non tornano
se vanno a cacciare ramarri,
e se la fortuna li assiste
useranno meno lacci da scarpe
e di sedili si muniranno.

Lungo il cammino di Mosè
passano altri 22 minuti
dal colmo della scalinata
avverto sordo il boato
e incido rocce per ricordare
l’ennesimo corpo maciullato
in nome di chi non so.
Forse di fumose ciminiere
dirimpetto le nostre case
che ingrassano forzieri
e regalano pandori a Natale.
 
 

 

 

 

 

 

 

 
Chiudo la porta
sbattendola in faccia al sogno.
L’aquila e la volpe s’azzuffano
infagottate tra le tinte di Ligabue,
io mi dispenso dal discutere
ermetico dentro sacri gusci.
Adorabile solitudine
il sipario s’alza e s’abbassa
parte il monologo di Pinter
nell’ombra di tendaggi
si realizzano intangibili ideali.
Amore ed odio fondono
le miserie in figure volatili
dopo già creati ed offuscati
futuri non più prossimi.
Radunerò nell’eremo del meditare
le azioni che dominano i pensieri
ed il pudore d’ogni movimento
appannerà i riflessi
vanificherà la vista.
Allungandomi tocco il soffitto
scopro dimensioni invitanti,
sereno mi tuffo nel blu di Renoir
ai sensi conciliati replico pigramente
nella Senna accanto al trumò.
 

 

NON PIU’

Non più profonde e chiare
le arricciature che osservo.
Esangui rigogli, torrenti ribelli
meningi di rovo
e teste arboree d’alce
fanno frastuono nei pressi
agitando acque pacate.
Un vento tiepido ma tossico
sputa caligini da levante
abbruna foglie e rami
liberando spazi imprevisti.
L’anziano edicolante
allontana stupori
per le carenze del sole
ed accartoccia giornali,
per il suo falò serale.
Mi ritrovo altrove
in città che non conobbi
in colline che non volli,
oltre stuoli disadorni
pennellerò ostiche dorsali
imbastendo cime innevate
vi giungerò,
nel sereno alveolo
io, granello del male
di questo male...

 

 

 

 

 

 


 

 
MORTE sul PIAVE

Adesso più non sento
lo sciabordio del Piave,
un tappeto di foglie
nasconde ogni sentiero.
Ancora s’ode il rombo
che sommerse case e grida
l’eco di quella furia liquida
bocca di uomini mai sazi.

Giù da quella gola
non fu solo un gelido vento
ma una bàlia omicida,
tumida di pietre e latte
a sigillare canti inermi
rei d’amare le valli
tra gli arditi dirupi.
Le tante mani
dalla terra informe
rimasero così protese
additando il campanile
a bronzeo monito serbato.

Quanti sogni interrotti
in quella notte di ceneri
quanti abbracci spezzati
in quell’insano gioco
quanti rimorsi affogati
nel trascinarsi d’anni.
Solo undici tetti a ricordare
nel mezzo d’un camposanto
e su tra nubi immortalato
lo spettro grigio d’avida miopia
tende la mano all’arduo declivio

 
 

 

 

 

 

 

 

IL RIFLESSO

L’anima sorda
rovescia di luce
riflette oscurità
nello specchio obliquo
al mio cercarmi
 

 

 



CONFORTO

Mi giunge l’odore
d’una cauta carezza
le tue mani muovono
fiati sul mio viso
e tergono lacrime

 

 

 


TULIPANI ROSSI

Turbini di vento
agitano tulipani
di sangue vestiti
lì eri riverso
a primavera sfiorita

 

 

 


GOCCE

Stillano gocce
dalla vita sospesa
una dopo l’altra
scavano macigni
d’una acerba ragione

 

 

 

 


INCONTRO

Fuori è l’albeggiare
tra stelle incerte
dentro l’ultimo tramonto
tra sole e luna
anelito d’un incontro

 

QUINDICI ANNI


L’altra notte la mareggiata ha sommerso la spiaggia
cancellando i nostri nomi segnati sulla sabbia.

Eravamo lì,
quel giorno di fine estate a rincorrere arcobaleni
mi tenevi per mano sorridendo ad ogni onda
che spumosa allontanava sempre più l’orizzonte.
Il sole andava e veniva in sella a destrieri di nubi,
ma a noi non importò, lo sfavillio dei nostri occhi
verso sera irradiò sul mare i guizzi dei mormori.

Per anni
la tua voce ha ammansito il vento delle mie vene,
i ruscelli dalla tue labbra a scacciare scorpioni
lontano dalla serra trasparente, nido di sguardi.
Anni ancora a cullarsi tra gioie in piena e sorprese,
carestie di bontà , orti alluvionati e uva passita.
sognando oltre il visibile nel cuscino dell’altro.


Quindici anni ed ancora
rovistiamo il guardaroba per indossare nuovi abiti.
Anni trascorsi a lievitare sotto una glassa croccante,
sopra un velo di zucchero ad addolcire piccole muffe,
poi nel forno delle solite cose a cuocersi adagio.
Con attenzione… non bruciamo l’amato dolce,
se cotto degustiamolo ora, finchè sarà caldo..

Domani a tempesta passata torneremo sulla spiaggia
nel nostro castello tra i granelli ospiteremo conchiglie.

 

 

 

 

 

 

 
 
(alle due Simone rapite)

Sorelle di veglia a quella porta
pur di tenerla sempre aperta
teneste mani tenaci sul battente.
Attraverso fiamme e fumi
d'una dilaniata antichità
eravate finestre sulle polveri
di strade irrorate di rosso.

Due donne
a calcare deserti ignorati:
l’una, labbra velate di blu
andava per piazze a riempire
visi anonimi e pozzi svuotati;
l’altra, occhi amici ai più
a tramutare miserrime aie
in giardini di altalene e parole.

Insieme uscirono dal guscio
col coraggio d’un pulcino
più alte del volo di un falco,
ma all’angolo l’affamato lupo
fiutò l’odio inciso sulle rovine.
Occhi e labbra portò via
nella sua tenebrosa tana
di colombe senza piume.

Due donne chiuse nella gabbia
non potranno più cogliere fiori
nell’oasi travolta dalle sabbie.

 

 

 

 

 

 

 
 
FIABA d'AMORE

Forse non ti affiderò il ricordo
di bianchi petali d’anemone
in culle tra fili di seta rosa
che alle mie arterie intrecciai.

Non potrò mai svelarti
d’assonnate soste fra le spighe
ad un soffio dal tuo fienile
per starnutire la tua allergia

Mai saprai ch’ero catena
del tuo campagnolo pedalare
nel dilagare domenicale
d’umide fughe tra sentieri.

Non ti confiderò ch’ero allodola
di stormi verso le campane e
rasentando spari sopra il canneto
ascoltai il tuo rintocco d’amore

Forse mai ti dirò della romanza
esser stato tra i candidi tasti
un nero si bemolle appena sfiorato
dal gorgheggiare del tuo cuore.

No mia cara,
non ti racconterò mai fiabe,
come un raggio di sole
mi poserò tra le tue ciglia
illuminandoti il risveglio
ancora con sogni schiusi.
Sì amore..baciami di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

OMBRE su di NOI

Siamo qui
fiaccati di schianto
teste marmoree
con la fievole realtà
svanita per sempre.
L’ultimo spiraglio si curva
arrampicato sull’estinguersi
del verde soffocante,
avanza l’ombra
domina ogni angolo.
S’amplia, fluttua
come un’agitazione di spighe
si trasforma in gioco ansimante:
l’acqua si muta in olio
abitati in semplici muri
parole in nebbia frizzante
e il tempo, sì anche il tempo
in una magica nenia
che stona al docile esistere.
Rimarrà quasi nulla
poche stelle
tra occhi e lenti,
poco amore
tra palmi e petto.
Restiamo
nella magra luce
tra l’erba, distesi
licenziando
il lontano estinguersi.

 

 

 

 

 

 

 
 
 
Della NOSTALGIA

Versi solo adesso composti
s'addensano nel silenzio
strappato alla mia voce.
Pianto dolce e prezioso,
sei un mare assassino
in cui m'immergo
con la timidezza di vivere.
Resto naufrago
nella vacuità d'emozioni
e vivo tra prosciugate macerie
come ammasso stanco
del lieve trastullare ricordi.
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 
TEMPERE d'OTTOBRE

Un greve mantello
cala adagio
tra abissi e case
lieve si propaga.
Sera mite d’autunno.

Crocee tinte
pennellano l’esanime quadro
stremato dal bagliore,
corrono le cupe strade
cinte da smunti lampioni.
Ovattato d’incanto
il soffuso vespro.

Ansiosamente covato
il paesaggio
attinge tonalità
al letargo di nidi strecciati
accorandosi all’opacità
d’un dipinto
intentato d’autore.

Infine al cuore
l’occhio ceruleo
traduce messaggi
sospesi,imbevuti
dalla fradicia coltre.
 
 
 

 

IN GALLURA TRA RUGHE DI MONTE


Ad ogni ruga di monte
inconsumato folclore d’aspre isole,
annodati oceani di luna sospingono
dal pianoro musica di balli spagnoli.
Di ruga in ruga, spacco del monte
corrugata fronte d’Atlantide sei aria,
pulviscolo di saghe normanne.
Mi cingo di goffi crinali
tafonati massi sculture del vento
a guarnizione d’ovili e porcilaie,
nel disperdersi disseminati stazzi lacrimano;
poi al ristoro d’un boschetto di sugheri
le anziane zolle mi parlano di te
della desolazione che monta di maestrale
al passo, per scomposte vigne a terrazza.

Giungo caldo d’amore su ombre
d’affusolate stele che allungano
l’esedra tombale d’atavica memoria,
e appare tutto mio unico giaciglio.
Sul saliscendi scabro del mirto, scendo
che s’apre il fluttuare d’arcipelaghi…
percorrendo transumanze orientali, risalgo
una ruga di sobbalzi mi porta a contrade
povere di pecorai e croci. La festa è finita,
i pizzi appesi gocciolano di colori
ravvivando l’opera di vecchi impagliatori
impenetrabili nella loro storia mai stanca.
Più in là, l’artigiano racconta
la discesa a mare dei Lestrigoni
dal costone alto sino al banchettare
tra i fiordi bianchi d’ossa, ed in quell’istante
mentre l’uomo le mani nodose rivolge al sole
l’interminabile orizzonte veste l’abisso
con nubi d’argento forma l’indefinito acrocoro.

Sì…tra le rughe della Gallura vorrò esser sepolto
dove la collina è un’ostile montagna.
 
 

 

 

 

 

 

 
 
TRAMONTO AD ALGHERO

L’iride pigra dei tramonti
inanella i rosoni catalani
in collane di corallo e turchese
ed ogni incontro rimane
desiderio di notti d’agosto

Il sole affonda dietro promontori:
tonalità d’ambra restano impresse
su bombati intonaci, sfuggenti
ed io sfioro teorie di bastioni
a pelo d’acqua cerco nuovi profili

La sera è magia di lanterne:
spengono i silenzi delle case
per accendere candele e caraffe
sotto schive pergole arabescate
ove m’inebriai di labbra imbronciate

L’indifferente malizia dalle vetrine,
congerie di folle e miele tra i chiassi
cercando l’orlo della tua gonna gitana,
dovessi ripescare dietro l’altura
il sole cremisi che t’ha generata.
 

 

 

 

 

 

 
 
EQUILIBRI VARIABILI

Morbida nenia bitonale
il lamento arriva sin qua
ne sento il soffio fresco
nell'oscuro giorno trascorso
ad intuire memorie morte.

Tocca in fronte l'ansia
sorprende fitta con un bacio
la statua di sale sul ponte,
il chiaro di luna scintilla
nel ribollire dell'insano rancore
concio pensieri su inermi scogli.

L'aliante plana vuoto sul tempo
specchia l'anima su nastri d'onde
sopra una suadente marea d'amore
ch'ora m'inonda il petto arido.

Trasformerò l'odio in tolleranza
nello stupore di saper raccogliere
le briciole del cielo avanzate.
 

 

 

 

 

 

 

           (A me stesso)

All’ultima curva l’intravidi lontano
arrancava, ma reggeva il passo
teneva in serbo l’ultimo guizzo.
Non mi posso più voltare
siamo oltre la metà
troppi attimi vitali perderei,
sarebbe subito col fiato sul collo.

Riflesso nel lago, poco fa
ho visto specchiata la sua immagine
è impressa nella mia mente
ma già non la ricordo più !
Ora, inizio a sentire una certa fatica
la salita sarà sempre più dura
sino all’erta finale , sulla rocca.
Non la scorgo ma in realtà è vicina.

Ho deciso ormai, sono stanco:
all’ultimo ristoro l’attenderò,
è troppo forte per me. Mi complimenterò!
Le darò la mano guardandola negli occhi.
Non vorrei…ma la luna ora
si sta alzando in cielo
dove la nebbia si dirada..
Qualcuno mi sveglierà prima o poi:
Son Quarantuno!!
Auguri! Non si direbbe…
 
 

 

 

 

 

 

 

 
OPUS INCERTUM

Ho fiori appassiti in balcone
da allora non li annaffio più
vedo le tue mani sistemare vasi
e di cesoia ripassare cime.

Al biancheggiare delle pietre
il giardino vive d’una luce propria
il passato splendore prende corpo
dalle fessure dell’opus sectile
i trifogli trattengono rugiada,
l’umido ricordo di quando
accudivi ad anime e piante.
Il conforto delle parole s’avvolgeva
attorno alle mie spalle, agra carezza
d’un rimprovero d’alto fusto
su rami inarrivabili.

Dal dolce pendio del prato all’inglese
malconcio di fronde troppo estese
alla cantina di ruggini pencolanti,
di arnesi poggiati alla rinfusa
il rivangare di terreni incolti
tra il secco incertum
di muri mai completati, come quando
seminavi solchi con
inascoltate lezioni di vita.

Le ortensie ancore vive
al riparo di sottili cipressi
profumano di quel santo ceffone
che ancora duole di voci
nel confidarti il mio esitare.
In questo giardino sempre
ci siamo incontrati e lasciati
come la pioggia scivola sui petali.
E sarei voluto essere ape
briosa suggerti il nettare
ma per deboli ali
o per un falso sbocciare
nella mia dispensa
è mancato sempre il miele.
 
 

 

 

 

 

 
CONTEMPORANEITA'

Con lei immota vado in immersione
nel tempo d'un lento scorrere d'altro
verso balzi di rane il fossato vive
ad ogni spruzzo un bagno di novità !
 
 
 

 

 

 

 

SETTEMBRE

Per questo sole ammantato senz’ombre
t’ho atteso meriggio d’estate, Settembre
ho atteso che ti lasciassero tutti
in questa bruma che disegna ragnatele.

Ritrovo paziente i miei passi corrosi
adagiando l’occhio sull’arco lontano
e acquieto i rampicanti pensieri
appesi alle gronde lungo viali in fruscio
nella luce che a sera s’arrende
dilatati rumori di ieri arrivano appena.

I giorni uno sull’altro, cantici fra l’edera
danno spiraglio a chiarori stellari
mentre mi lascio colmare dal vuoto
senza angosce, né gioie
vendemmio l’ore che il vento sfoglia
senz'odio, né amore
per qualsiasi decisione v’è spazio
da qui non aspetto altro che Autunno.
 
 

 

 

 

 

 

L'ATTESA

Ramoscelli rampicanti
smussano le cisterne
dal degrado di scambi.
Seduto sul macerato scanno
d’una stazione senza pensiline
attendo invano il lento sbuffare
colmo di teneri ritorni
non conosciuti abbracci.
Gli anni si dissolvono
al di là delle rotaie
incerte linee d’aquiloni
vi tracciano ponti sospesi.
Tra i grigi fumi , stasera
andremo a ritirare le nasse
in vetta alla palafitta
sugli scogli a mare
ed ancora ci racconteremo.
Ma ora sono qui:
Il bastardo della cantoniera
mugola greve,non trova più
la ciotola con avanzi di cene
e si stira a prender fresco
mentre io m’incammino
deragliando tra i ricordi
di treni perduti
 
 
 

 

 

 

 

 

 

TU COME LA MIA TERRA

Da terrazze muliebri
gli acerbi oleandri
non escludono lo sguardo
al tenue degradare
dentro i tuoi occhi

Tu sei la mia terra
valli e profumi
pianure e colori
dal mare alle schiere montane
sei unica, aperta vista.

I miti filari delle viti
snodati tra arati colli
come il nastro vermiglio
a cingere i tuoi amati fianchi

I flutti increspati d’azzurro
mossi da marmorei dirupi
dolce profondità a temperare
l'estro dei tuoi occhi

I crinali, boscose dorsali
sembrano le tue agili mani
quando lievi seducono
con l'onda bruna dei capelli

Poi fiumi di pianura che
solcano medievali signorie
vene sotto la tua pelle di perla
foggia d’un indigena bellezza

Bianche strade di podere
con spighe spolverano ostelli
come i tuoi docili gesti
educano una voce di flauto

E così...a rimirarti
sporto dalla ringhiera
tu avvinghiata al mio cuore
come questa mia terra:
fertile semenza dai raccolto
all’amore per i miei pascoli.
 

 

 

 

 

 

TELE di RAGNO

Cadere nel vuoto
e pure
un filo di ragno
può tentare
la mano.
Ho ali
di tele di ragno
intessute
alle mani
e...
non sarà mai
volare.

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

(ad Elena)

Oggi ho litigato con me stesso
per nonnulla il cuore sobbalza
quando il sole straripa sulla luna.

Poggio i gomiti sulle saponate pagine
ti fisso nel tuo vispo scrutare, calma
l’indugio del gatto in agguato, fermo.
Hai riposto nella cassa il gusto della vita,
che zelante condisci, ogni giorno
ma al tuo palato rimane insapore.

Cresci lesta come le tue corse, giù
nella terrazza afosa di compagnia
ed io nascosto alla finestra
a corroborarmi con la tua voce.
Ti confondi tra i limoni , presto
giunge il gonfiore agli occhi
e piangi per non aver sfiorato scie
del germogliare d’interi giardini.

Poi, aspetto come sempre
la sera d’amabili licenze
di sorrisi porti a sorsi d’acqua,
di paure intrappolate dal buio.
Mio ninnolo che trabocca d’oro,
non so quanto brillerai a me
ma finché ti starò accanto, vivrò
dei tuoi mormorii di tenerezza
 
 

 

 

 

 

FOTOGRAMMA

Trasmutazione d’un verbo volatile
un palpito di congegno elabora
istanti appannati dal tempo.
Sfondo delle mie ossessioni
un desiderio creato all’infinito
spentosi in dissolvenza.

 
(da Castelsardo)

A solleticare coloniche pareti
voga il timoroso spiraglio di luce
movendo tende appena rammendate.
Il riverbero sussurra onde pigre
al risveglio tra l’umide lenzuola;
il mare ancora sbadiglia e
l’aria si fa sobria di fragranze
nell’inzuppare friabili pupille
al di là del davanzale.

Scorgo i gigli bianchi tra sabbia e verde
sconfinare nella placida azzurrità
e l’animo mio si rallegra
del perdurare della vita;
le isole alla deriva di nebbie
e fuliggini di miraggi mattutini
arrochiscono la mia voce
rendendo così piacevole
l’ascolto di sparsi respiri.

Il mio corpo ha colto fremiti
dimentico delle stanchezze di ieri
a tirare di bordo e prolungare bracciate,
aperta la schietta imposta cormorano sarà
felice d’essersi appollaiato quassù;
con l’ala ad ammorbidire stamani
il crine della natura, allorquando
la prima risacca è l’ultima di ieri.

 
 
 

GRANITI DI CAPO TESTA

Assomiglia ad un giovane profilo
teso nell’odorare aromi francesi
a macchie sulle bianche scogliere
al di là delle increspate bocche.

Scapigliata dal lentisco è creta
su cui la leggenda ancora decanta
scaltri passatempi di giganti
che di sassi tutta la cosparsero.
Sassi variegati in scarmigliati graniti
sagome di visi, animali parlanti
dove ognuno a piacer nostro
poserà sguardi a scrutare l’intimo
con spatola su pose di graniglia.

A perdita d’occhio granitici monoliti
si mescolano al mare in intarsi continui
da pieghe rosate di roccia
a limpide dentellature marine.

Cardine dell’argine di venti
all’alte sponde mi fingo
dattero di mare, cercatore di perle
prigioniero di scolpiti modelli
e sul pietrisco della cava rupestre
che sbiadisce in fronte al faro
desquamo il mio misero corpo.

Tornerò vertebrato
folgorato da lune tuffatesi a mare
in questa terra di meraviglie
di sasso serbato da posidonie,
e montagna che volge all’acque
microcosmi di popoli
modellati dal granito
fra inesplorati spazi.
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 
(in ricordo delle piccole vittime di Beslan)
 
Sono nato di nuovo quando
ho visto sfilare grembiuli
azzurri, rosa e bianchi
tralasciando sui banchi
diari con griffe stampate.

Ho colorato i loro cuori
disegnati all’angolo di fogli,
e parlavo della pace con forza
delle foreste con mille animali,
del chiarore dell’alba
che oscura i rossi tramonti.

La tenerezza dei loro canti
mi incoraggiava a salire in alto
e mai sono stato solo pensando
le loro merende in cortile.

Ho visto i loro sorrisi
scacciare lacrime
quando fuori piove,
ho visto piangere
per una carezza.

Ascoltavano attenti, ieri
ho detto loro tutto quel che so
ma non ho parlato della morte…
 
 
 

 

 

La proprietà letteraria è dell'autore. Ogni riproduzione è vietata.

 

Home page  |  L'autrice del sito  Le pagine del sito