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NEI MIEI OCCHI

COME UNA LUNA DIFFERENZE DI SOGNI E DI SILENZI RITROVARSI DA UN SOGNO QUANTO SA DI TE AL MERCATO DI VIA SAN BERNARDINO FRA LE LUCI DI UNA NOTTE INSONNE
STRINGILO AL PETTO  RACCONTAMI (DI TE) D’INVERNO IN PIAZZA STATUTO D’UN TEMPO NOTTE JESOLANA (a G.B.) E SI FARA’ DIPENDENZA QUEL CAFFE’ AL MATTINO ED IL VENTO ANCORA UNA VOLTA
E’ SOLO ARIA MEMORIE D’UN SILENZIO ERA CAORLE O BIBIONE
 
LARGO MARCONI
 
MENAGE
 
QUALCOSA SULLA NOIA GELOSIA HO SLACCIATO L’OROLOGIO UN’ ULTIMA NOTTE
NEL RITORNO DEI RICORDI SE TORNASSI AD ORA INDISPENSABILE ASSENZA DEI MIEI SE DI QUEL CHE NON E’ DETTO TRE NOTTI AL KURFURSTERDAMM 180 IN UNA NOTTE DI LUGLIO  DI TE DUE GRANELLI NELLA CLESSIDRA 

 

 

 

 

 

 

IN UNA NOTTE DI LUGLIO 


Non sono refoli a nascere
come il vento dall'elica
di un ventilatore acceso
ma parole che si smontano
vestendosi di vortice
in questa notte.

Non è sudore a rivolare
le mie tempie scendendo
al mento e confluire
ma buio che s'indossa
come pareo d'acqua
sulle nostre silenziose
corrispondenze.

Nè saranno i sensi a ricoprire
giorni a passo di gambero
che riporteranno la mia mente
in volo all'immaginazione;

perchè forse non sai che
della briciola del poco m'accontento
e per la scorza del poco mi scontento.

 

 

 

 

 

 

 

 

DUE GRANELLI NELLA CLESSIDRA 

 

Si fa due granelli di clessidra

questa sera il nostro tempo.

Nel riflesso della polvere

sui vetri t’avvicini.

Oltrepassi incroci d’ansia

calpestando le crepe del tuo cuore

ed il pavè di Via Nizza.

 

Di cosa parlare, l’argomento

è a piacere.

Forse dei portici o dell’Ilaria

e le sue palpebre chiuse.

 

Non è ora per l’abbraccio

la notte incede a San Salvario.

Rincorri l’autobus trentacinque

delle ventidue e trentatre.

Si perde così la tua ombra

fra i rettangoli del Lingotto.

 

Nel riflesso della polvere

sui vetri t’allontani.

 

E dal mio zaino ritrovo

le Ceneri di Pasolini.


 

 

 

 

 

 

 

 
DI QUEL CHE NON E’ DETTO


E’ il tuo tempo che rifugge da me
oscura l’estate come un presagio
riflette il mio sguardo su sogni
che di notte domandano
il loro tributo, ai trascorsi attuali

non importa.

E’ la tua parola, m’accompagna
sopra i passi vaghi,
non la sento più sicura
ora che slaccio da ogni legame
qualsiasi desiderio dalle mie necessità.

 

 

 

 

 

 

TRE NOTTI AL KURFURSTERDAMM 180


I

Leggo questa sera pagine sommesse
che non sembrano poesia e sfoglio
passi bianchi sul viale di Ku’damme.
Nuvola è la luce che le avvolge
chissà se riuscirei ad ascoltarli
mentre scendono le scale della U-bahn
lasciandosi appresso un mormorio
che orla le rovine del mio io.


II

Non saprei dire s’è vento o
buio della notte che s’avvolge
dai davanzali inumiditi
del mio guardare allunato
su quello che resta di un solco
sopra l’asfalto di Potsdamerplatz,
ripensando a quel confine
di mattoni s’una rosa senza spine.


III

“You are leaving the american sector” ed
intanto sbarazzo la tua penombra
sulla bancarella dei robivecchi
cosi come la spilla di latta
si sfilza dal colbacco di lana
celando la piega della tasca;
nel mentre -sperso disegno fughe-
chiedo se il mio cuore non ha rughe.

 

 

 

 

 

 

INDISPENSABILE ASSENZA

 

Non sarò qui a lèggere poesie

accovacciate ai versi, quando

dalle mani vorrà il calore

riscorrere le curve

d’una foglia sempreverde.

 

Verrai nuovamente tempo

a passeggiare sotto ponti

ad unica arcata, ma sarà

tardo il passo del fiume.

 

E m’incamminerò via dai colori

via dalle ciglia d’acqua

dalle rughe dei lamenti

via da libri rilegati con due lire

via da tutto quel che mi riporti

a questa tua indispensabile assenza.

 

 

 

 

 

 

 

DEI MIEI SE

 

Di lei ora vogliono

dire i miei se;

 

se non fosse per la dissonanza

fra pronome e congiunzione

a governare logoro ogni palpito.

 

Come se fossi a ricordare quel passaggio

al di là di un mattino che s’avverte

alla brezza marina dopo un acquazzone

 

ora non sarei qui:

 

ad azzurrare la sua ombra

tutt’una con la mia,

a sbrogliarla da quel podio

di marmo malfermo

dove stanco l’appoggiai.

 

Se conoscesse di sé la strada

-questa massa a malfare-

non avrei altra mira ancora

che zollare il mio riarso cammino.

 

 

 

 

 

 

NEL RITORNO DEI RICORDI


E’ d’aria il profumo della neve senza fiocchi
in questa poesia calda nell’anima
senza premura di trascriverne l’impronta.


Questo è il mio sembrare adesso:
una sera bagnata da occhi chiari
che non incontrano sguardi
persi su giovani lineamenti
e nei colori anticati della chiesa
appena restaurata, strato
di malta soffiata dal vento.

Ha tiranti di parole intersecate al freddo
dal non ritorno quell’aquilone
senza fune che non trova
più la piega sopra il vento.

E parcheggiandomi ancòra
ad un binario morto distillo
nei fumi di una grappa alle erbe
ogni mio inerte desiderio.


 

 

 

 

 

 

SE TORNASSI AD ORA

 

Chissà se il tuo passo esiterebbe

all’ingresso di un campo senza spettatori

sapendo di trovarmi non più

prim’attore ma figurante

ai bordi della linea bianca

come un raccattapalle in attesa

che il pallone rotoli fuori.

 

Questo sono io,

dalla parte del falloso

ascolto il bussare al cuore

di sbagli pronti a spezzare il gioco

mentre mi ritrovo a buttare

nel catino nuovamente

la palla oltre la mediana di gesso;

 

e perdonami se la mano

trema ancora.

 

HO SLACCIATO L’OROLOGIO


Ho slacciato l’orologio dal polso sinistro
per contare i battiti del cuore
a questo tempo infermo ed ho
atteso il dolore della carezza
annegata nell’orgoglio di un verso proprio.

Vorrei sfogliare ancora le prime pagine
di questi attimi felici nell’attimo
persi ad ascoltare una tv muta
nel buio di una notte a colori
e nel ritorno ad uno sguardo approssimato.

Vorrei incamminarmi sopra questo
fermo andare avanti
senza più la voglia di tornare indietro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DI TE

 

Non so se pensarti addormentata

sulle prime ore di ogni sera

può salvarmi da questa insonnia

e il vedere di là del respiro

asfittico che al battito nega          

la nascita di un giorno ancòra

celi fra gli interni d’una fodera

piegata nei cassetti del comò

(di faggio credo sia l’intarsio)

il segreto dove paure e forme

echeggiano piano alle ginocchia

e fan credere di anni rincorsi

ancora più dei tuoi trentuno.

 


 

 

QUALCOSA SULLA NOIA

 


E' questo il tempo che m'attraversa
ed arrangia il cuore di nenie gitane;
stagioni in alternanza ad occupare
le mansarde della mente e spostare
il ticchettio d'un orologio a muro
fra i minuti e le ore legali
lasciando -forse- tali e quali i giorni
in campi persi fra le tacche
di messaggi già cestinati.
E non vorrà di certo questa vita
impedirmi di donare fra i suoi raggi
i resti della mia ombra.

 

 

 

 

 

GELOSIA

 

 

Non sarai fra mura di cera accesa

stesa a colare, o negli echi di una

ineffabile lingua, a ritrovare la tua

fotografia nel silenzio senza luce.

 

Non riconoscerai più qui e nei giorni

che rileggono il passato, quel verso

germogliato sul profilo e caduto

sopra un foglio bianco, ad asciugare.

 

Profumano ancora queste notti

di rosa, dei fiumi delle tue labbra.

E che nessun altro s’abbeveri.

 


 

 

ERA CAORLE O BIBIONE?

 

“Cosa importa nella vita

tu lo sai?”

 

Come scegliere fra

Caorle e Bibione  il mare

o la spiaggia nelle trasparenze

di un pareo del sabato

mattina al mercato

(e il paio di sandali,

erano rossi o marroni?)

E quando sei a definire

fra Hesse e Gibran,

Rilke o Barthes

gli  scritti migliori.

Oppure chi ti guarda

falso per il sesso,

a chi scioglie il verde

opaco nei riflessi di

terra euganea,

 

tu decidi o preferisci?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MENAGE

 

Cucinerò per te

questa sera, forse sì.

Sarà un pretesto per dar

lustro ai miei piatti bianchi;

della tovaglia poi valuterai il ricamo.

E le posate d’argento placcate

coi bicchieri da vino conformi

non le ho nemmeno spaiate.

 

Tra due minuti cambio data

al calendario -impaziente-

e sul tavolo altro non vedo

che gli avanzi della cena.

 

(Suvvia, penserai mica

 che voglia portarti a letto?)

 

 

 

 

 

 

 

 

LARGO MARCONI

 

(Una donna alla fermata  forse pensa

che sia prossima la cena).

 

Sembra perso l’orizzonte

sulla retta di via Nizza

dove alvei son gli uffici di stazione

e del santo di campagna

una cupola si staglia.

 

Giallo a chiazze

sono i muri dei palazzi

che attenuano lo sguardo

vestito sopra il vento

sul pigro incedere del fiume.

 

Non s’appresta il giorno ancora

quando l’autobus per Sàntena

delle otto e zero quattro

precisa a colazione il suo ritardo.

 

 

 

 

 

E’ SOLO ARIA

Bella di mille volte alla mia voce
sei ora incerta che solo aria divide
spazi e vibrano antiche
parole sospese o disattese.

Bello di mille volte sono brezza
ai tuoi silenzi, dove fiumi di sale
scaturiscono d’un verde vago
e s’asciugano al dopo dei passi.

E’ al cuore o un po’ più su
la morsa di quest’aria che
impedisce il respiro
dei pensieri a riposare.
 


 

 

MEMORIE D’UN SILENZIO

Ho conservato la fotografia
d’un silenzio nella tasca scucita
della giacca, per quando
è nulla il vago
ricordo da festeggiare.

Suono di telefono questo
sordo sentire del peggio
come unico appiglio.

E sarà così fatta
persona ad abbottonarti
le asole dell’anima
sfilacciando la noia ritrattasi
addosso a mezzo punto?
 

 

 

 

 

 

ANCORA UNA VOLTA

 

Ora che brividi scompaiono

come imperfezioni

si cancellano da matita

di un disegno astratto

 

qui ti ritrovo come

autostrada a sensi opposti

dove luci non illuminano

e l’azzardo dei sorpassi

abbandonano i versi

in soste d’emergenza.

 

Avresti solo perso il tempo

a ricercare svincoli, mentre

fra piatti d’asciugare

sguardi lunari volgi

ai miei cenni d’una volta

senza punti di domanda.

 

 

UN’ ULTIMA NOTTE

(SOTTO LE CARCERI NUOVE)

              a Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu

 

Era l’aurora di vecchi garage

senza più passi di tango

dove nell’ombra d’umano

cigolava la saracinesca.

 

Era l’alba dei lunghi pensieri

-stampella per utopia-

sotto il torrione nuovo

guardia vigile al corso

di Vittorio Emanuele II.

 

Crepuscolo al tramonto per voi

figli del pane sbriciolato

da mani adombrate

e da chi figurava

compagni a sbagliare.

 

Lasciateci ora la fiamma

d’un giovane fuoco greco

che ancora sul muro arde

e tornate quaggiù dove

nemmeno più il nome rivive.

 


 

 

 

 

 

 

 

QUEL CAFFE’ AL MATTINO

 

Riconosco la fragranza che giunge

a schiudere di caffè mattutino

al sonno i miei occhi e l’armoniosa

melodia d’una sonata che vela

di prime giornate l’agosto.

 

Qui appari inconsciamente

fra due tazzine spaiate servite

di piattino per far da galateo

con il tuo sperso celeste

a contare cucchiaini di zucchero.

 

Vorrei vestire di me l’essenza

ed avvolgere la cucina mentre

-d’immaginario lineate- le tue labbra

sfiorano l’amara bevanda volgendo

dallo sguardo basso, un pavido sorriso.

 

E ritorna ai desideri in cocci

l’agra età dei limoni

dove costruivo castelli con le carte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ED IL VENTO

 

Sarà brezza quella polvere volata

dai miei libri a metà, dove pagine

ingiallite s`insaporano di fine?

 

Lì ti troverò a ricercare i frammenti

d’una vita non vissuta

in ignota conclusione

e quel vento da soffiare sulla neve

che ora scioglie fra le mani.

 

 
NOTTE JESOLANA (a G.B.)



Come onda che arriva e lentamente
da largo rinnova il flusso in schiuma
per cuori è il battito a metà di questa notte
dal gran carro accesa dove mani
affossate nella sabbia preludiano l’alba.

Grigia la nuvola che sfilaccia il nero
e fonde in sequenza d’ansia i pensieri
mentre emuliamo momenti e
una chiglia rovesciata cela
gli sguardi alla insicurezza.

Silenziosi sono i passi verso case
dove i muri non appartengono
ad attendere l’aurora in un risveglio
di questa corrente d’attimi
che fuggevoli ritornano.
 

 

 

 

 

 

E SI FARA’ DIPENDENZA

 

 

Non si addormenta la notte che

conosce il risveglio del mattino

nei profumi dei tuoi respiri

e dona lo sguardo smarrito

nel bosco di una cerbiatta

mentre ti perdo in punta di matita

quando il verso spezza l’anima.

 

Ti ritroverò nei concerti d’autunno

ora che svaniscono le tracce

in quel canto senza note e ripulirò

le macchie dimenticando chiavi

d’una gabbia senza sbarre.

 

Non stringerò ritornelli d’amore

in pentagrammi d’amicizia

-e si farà dipendenza-

ascoltando quel silenzio che immagina

labbra sottovoce schiuse in stanze buie

 

quando sulla mensola del giardino

una rosa (una volta in più)

sfoglia il suo bocciolo seccandosi

sull’asfalto della mia terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

D’INVERNO IN PIAZZA STATUTO


Quando la brezza mulina e tagliente
spolvera il monumento che del Frejus
accenna l’indice al confine
quando al derivare di portici
impronte fradicie inzuppano
gli scalini all’ingresso del novantaquattro

rimpiatto l’orizzonte taciuto -grigio in cielo-
fra finestre e tetti misti al bianco
del palazzo Paravia ed induco
il decoro sabaudo al ministero.

Quando più in là sguardi nostri
mescolano il decifrare fra papiri d’Egitto
e al metro d’oro arrotoliamo i pensieri
quando fra gli scranni di Cavour
Mazzini e Garibaldi
– ascesi d’infausta par condicio-
sfiorano il legno d’emiciclo
le dita a ventaglio intagliato

tu entri a rovistare la mia anima
indenne uscendo.


 

 

 

 


 

D’UN TEMPO

 



Immaginare il tempo posto
fuori della finestra chiusa
al sole o alla pioggia che cadenza
come lumino trasparente
al fondo del ciborio
dove Madonna di Campagna
al viale ferroviario d’una volta
pavimenta la spina reale

è assai poco celato
d’un richiamare di mente
al tempo andato
perso fra candidi profumi
di pensieri immobili all’immagine
ed immersi negli occhi socchiusi al pianto
in questa notte d’infinito giorno

fra abbaiare di cani al cortile
e scricchiolii d’asfalto
fra i getti del giardino imperlato
nel raccostare una imposta
al gemito d’un bambino.

E’ l’incertezza che oscilla
fra quel che più non ho
e ancora dovrò perdere.

 

STRINGILO AL PETTO                          

 ad Antonio Tarantino        


 

Stringilo al petto
tu cuore di donna
che ad ogni aurora di mare
t’affacciavi e volteggiava
specchiando
i suoi sette colori
un’aquila negli occhi.

Stringilo al petto
-ora che nel suo-
prestigio di latta
opaco riluce
irrugginendosi presto
bagnato (e ripulito)
con pianto di madre.

Stringilo al petto
coperto d’abito nuovo
fan mostra
tra invincibili angeli
mani di marmo barocco
operaie
in cerca di luce
ignaro
in ombra di morte.

Stringilo al petto
lo strillo penoso
tu di figlio solo fotografia
d’ansia stropicciata
sull’altare
da carezza perenne di madre.


 

 


 

 

RACCONTAMI (DI TE)
 

 


Raccontami di baci
che ora più non riconosci
fra labbra che ti cercano
per serbarti in ricordi
che dell’anima fingono disegni.

Altro non rimane in uno
spartito di lacrime
sussurrati agli occhi serrati
d’una notte che più non arride
il vuoto d’averti.

Raccontami dei sogni dispersi
fra i minuti di due lancette ferme
ora che ti vedo allontanare
e svanire come il nome d’una stazione
quando il treno parte;

lì mi troverai
viaggiatore di quel treno
fra le dita un biglietto sola andata
che dell’orario ha perso coincidenza.
 


 

 

(Dedicato)
AL MERCATO DI VIA SAN BERNARDINO


Sgorga l’acqua
di speranza
dalla fontana del toro verde
sprizzando in terra
pozzanghere di ghiaccio
rivolando fra
le gambe delle Madame
(con la e finale)
del mercato in via
San Bernardino.

Rintocca la decima ora
del freddo mattino
il campanile salesiano
a richiamare fedeli
fra buste colme
di mele e di lattuga

delle bancarelle su due file
ordinate nella notte

di bambini che giocano
col vento a nascondino
tra le vie del quartiere
in portoni di palazzi
resistenti.

Non necessita il mio ginocchio
l’altare in marmo bianco
mentre dai tetti sbiaditi delle case
gocciola la neve
sulle mercanzie d’ebano
dell’uomo dallo sguardo
imperlato.

Sibila come verso di zanzara
il citofono malandato
dell’alloggio scolorito
-dal tempo temprato-

All’affacciarsi d’una donna
(non più il ragazzo di Borgo San Paolo)
dai capelli raccolti
stridula la ringhiera verde del balcone

al secondo piano
-e ultimo-


                                                                      “Ah si tu Carmè?
                                                                      Acchiana, acchiana”.
 

 

 

 

 

 

 

FRA LE LUCI DI UNA NOTTE INSONNE
 


In questa notte rinchiusa
in una stanza a cancellare
tributi dal libro dello specolo
risuona la tua melodia
di mille chiose vane
ripetute e riascoltate.

Nostri
i pensieri rifratti da
pareti di cristallo
riannodati ancora a sè
come collana di perle
da filo di tenue
che frangono sugli
angosciosi inciampi
della mente.

Ora sì vorrei perderti
in chiare luci
(non facili sentenze)
e sogni d'ideale
(senza quotidiano materiale)
per ritrovarti non ancora
come sei:

tu donna tu sirena
tu venere senza specchio.
 

DA UN SOGNO
( o forse no )
 


Sei tu foglio di carta
malinconica
su cui scrivi parole vuote
d'inchiostro bianco
dell'anima

che cade in terra
accartocciata
rotolando
su montagna di pensieri.



Come petalo di rosa
soffiata dal vento
rompi
con fragoroso silenzio
il timore del nulla.

 

 

 

 

 

QUANTO SA DI TE
 


Quanto sa di te
quest'ombra appiedata
dal sole dietro nuvole fosche
che del tuo profumo
si è inebriata fino all'ultima goccia
gettando via la bottiglia

come naufrago alla deriva
senza messaggio alcuno
avvolto di speranza.

Quanto sa di te
quest'avanzo di aragosta
sul piatto ovale di portata
e chi di quel che manca s'è
nutrito rifiutando
il miglior gusto a fine pranzo

quando di molliche vecchie
hai fatto di vita
il nutrimento.

Quanto sa di te
(dei tuoi occhi) il pianto
che ora bagna il viso
scendendo sul collo
e asciugandosi

come labbra di bambino
poggiate sul cuore della madre?

 

 

 

 

 


 

DI SOGNI E DI SILENZI

Ho disposto i miei occhi
al riposo assoluto come medico
di un anziano paziente
per non veder tracimare
il suo stanco respiro.

Ho riempito i suoi spazi
nei sospiri d'ombra
con nuove parole
per non udire il rumore
del nulla.

Da domani andrò via
sorvolando cieli
di nuvole grigie
divenendo unica goccia

che fa traboccare
di pioggia
il mare dei pensieri.

( E sarà questa
l'ultima notte -la mia-
di veglia di sogni
di silenzi. )
 

 

 

 


 

RITROVARSI

Abbiamo messo in fila
pensieri scuri
come formiche laboriose
che rintanano nella fessura
di due mattonelle
in un ordine solo apparente

bevendo da calici
con steli sbrecciati
lo stesso vino
del barone rosso

mentre teorie di vita
s'intrecciano
l'una su l'altra
(l'una con l'altra dibattevano)
come in un abbraccio
di plastica

ritrovandoci
negli sguardi verdi e blu

perdendo ogni timore
ogni tremore di labbra
su groviglio di dita
-le nostre-

che vite parallele
hanno incrociato
fra mani
                        non più nostre
 

 

 

 

 

DIFFERENZE

Sono foglia gialla
di fronde spoglie
su cui si posa farfalla
che di breve vita si nutre
e di mia rugiada s'abbevera

scuotendo le ali
dal freddo intorpidite
ad inseguire l'ignoto
d'iride dipinto.

Sono foglia che dall'alto
scruta manti
-terreni di secche foglie-
e del calpestio ne fa
melodia.

Sono come foglia appuntata
su ramo esile scossa dal vento
fra foglie verdi di nubi adombrate
rivolta unica al sole e

affogato nei suoi bagliori

                                                rinasco
 

 

 

 

 

 

 

NEI MIEI OCCHI


Ho anelato falsi sospiri
di celate melodie notturne,
rincorsi la sera e calpestati
al mattino
come foglie secche
d'autunno.

Ho atteso che nascessi
mio Sole
e dei tuoi freddi lampi
come di primi giorni in febbraio
ho scaldato la mia anima
di fervore,
gelida d'inverno.

Ma ora ti voglio,
sangue nel mio sangue
nascente il primo d'agosto
brillante di chiara brezza.

E riconoscerò
fra le favole di Pandolfo
perdere il tuo sonno

ed il mio olfatto
fra profumi fanciulli

nel volo di rondine
che la notte librerai


                                       nei miei occhi ancora chiusi.
 

 

 

 

 

 

COME UNA LUNA

Ho percepito dall'alto del mio cielo,
i tuoi cicli e i moti degli umori tuoi
come una luna contempla il suo astro
ed intorno costantemente gli orbita.
Ho scrutato i flutti dei tuoi oceani
rompersi sugli scogli della passione
ed in mare aperto fare ritorno.
Ho visto le creste dei tuoi monti
farsi belle e innevarsi candide
per sciogliersi ai primi bagliori
di nitido splendore mattiniero.
Ho contemplato dal mio spazio,
l'incessante avvicendarsi
dei cieli neri e color turchino.
La tua fresca  e innocente gioventù
preannunciare la mite stagione.
Immediata ad essa succedere,
la caduta delle fronde dagli alberi
delle sconfinate foreste dell'animo.
E come folata di  vento spazza
via le foglie al suolo discese,
ecco che ad essa si accoda l'epoca
del grande freddo invernale.
Ho atteso con occhio stupito
lo schiudersi delle crisalidi
divenire farfalle e riprendere
il loro andare senza visibile meta
di boccioli in campi di fiore,
di ridenti pascoli in verdi prati.
Ho voluto contaminare,
come la Luna sulle terrestri maree,
la tua indole del mio carattere.
T'avrei nuovamente bagnata
come il tempo che fu,
nel mio mare della Tranquillità
e con esso insegnarti a nuotare.
Ma ora che non brillo più a te
di propria luce, come una Luna
divenuto freddo, riverbero
il bagliore del Sole sulla tua pelle.
E come al Sole e alla Terra
la Luna si frammette, io a te
malinconico e inquieto,
Contrada del mio desiderio,
ora mi eclisso fino a riprendere
nuovamente, il circolo vitale
e costante del mio esistere.
 

 

 

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