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Si fa due granelli di clessidra questa sera il nostro tempo. Nel riflesso della polvere sui vetri t’avvicini. Oltrepassi incroci d’ansia calpestando le crepe del tuo cuore ed il pavè di Via Nizza.
Di cosa parlare, l’argomento è a piacere. Forse dei portici o dell’Ilaria e le sue palpebre chiuse.
Non è ora per l’abbraccio la notte incede a San Salvario. Rincorri l’autobus trentacinque delle ventidue e trentatre. Si perde così la tua ombra fra i rettangoli del Lingotto.
Nel riflesso della polvere sui vetri t’allontani.
E dal mio zaino ritrovo le Ceneri di Pasolini.
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DI QUEL
CHE NON E’ DETTO
E’ il tuo tempo che rifugge da me oscura l’estate come un presagio riflette il mio sguardo su sogni che di notte domandano il loro tributo, ai trascorsi attuali non importa. E’ la tua parola, m’accompagna sopra i passi vaghi, non la sento più sicura ora che slaccio da ogni legame qualsiasi desiderio dalle mie necessità.
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I Leggo questa sera pagine sommesse che non sembrano poesia e sfoglio passi bianchi sul viale di Ku’damme. Nuvola è la luce che le avvolge chissà se riuscirei ad ascoltarli mentre scendono le scale della U-bahn lasciandosi appresso un mormorio che orla le rovine del mio io. II Non saprei dire s’è vento o buio della notte che s’avvolge dai davanzali inumiditi del mio guardare allunato su quello che resta di un solco sopra l’asfalto di Potsdamerplatz, ripensando a quel confine di mattoni s’una rosa senza spine. III “You are leaving the american sector” ed intanto sbarazzo la tua penombra sulla bancarella dei robivecchi cosi come la spilla di latta si sfilza dal colbacco di lana celando la piega della tasca; nel mentre -sperso disegno fughe- chiedo se il mio cuore non ha rughe.
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Non sarò qui a lèggere poesie accovacciate ai versi, quando dalle mani vorrà il calore riscorrere le curve d’una foglia sempreverde.
Verrai nuovamente tempo a passeggiare sotto ponti ad unica arcata, ma sarà tardo il passo del fiume.
E m’incamminerò via dai colori via dalle ciglia d’acqua dalle rughe dei lamenti via da libri rilegati con due lire via da tutto quel che mi riporti a questa tua indispensabile assenza.
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Di lei ora vogliono dire i miei se;
se non fosse per la dissonanza fra pronome e congiunzione a governare logoro ogni palpito.
Come se fossi a ricordare quel passaggio al di là di un mattino che s’avverte alla brezza marina dopo un acquazzone
ora non sarei qui:
ad azzurrare la sua ombra tutt’una con la mia, a sbrogliarla da quel podio di marmo malfermo dove stanco l’appoggiai.
Se conoscesse di sé la strada -questa massa a malfare- non avrei altra mira ancora che zollare il mio riarso cammino.
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NEL RITORNO
DEI RICORDI
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Chissà se il tuo passo esiterebbe all’ingresso di un campo senza spettatori sapendo di trovarmi non più prim’attore ma figurante ai bordi della linea bianca come un raccattapalle in attesa che il pallone rotoli fuori.
Questo sono io, dalla parte del falloso ascolto il bussare al cuore di sbagli pronti a spezzare il gioco mentre mi ritrovo a buttare nel catino nuovamente la palla oltre la mediana di gesso;
e perdonami se la mano trema ancora. |
HO SLACCIATO
L’OROLOGIO
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Non so se pensarti addormentata sulle prime ore di ogni sera può salvarmi da questa insonnia e il vedere di là del respiro asfittico che al battito nega la nascita di un giorno ancòra celi fra gli interni d’una fodera piegata nei cassetti del comò (di faggio credo sia l’intarsio) il segreto dove paure e forme echeggiano piano alle ginocchia e fan credere di anni rincorsi ancora più dei tuoi trentuno.
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QUALCOSA SULLA NOIA
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Non sarai fra mura di cera accesa stesa a colare, o negli echi di una ineffabile lingua, a ritrovare la tua fotografia nel silenzio senza luce.
Non riconoscerai più qui e nei giorni che rileggono il passato, quel verso germogliato sul profilo e caduto sopra un foglio bianco, ad asciugare.
Profumano ancora queste notti di rosa, dei fiumi delle tue labbra. E che nessun altro s’abbeveri.
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“Cosa importa nella vita tu lo sai?”
Come scegliere fra Caorle e Bibione il mare o la spiaggia nelle trasparenze di un pareo del sabato mattina al mercato (e il paio di sandali, erano rossi o marroni?) E quando sei a definire fra Hesse e Gibran, Rilke o Barthes gli scritti migliori. Oppure chi ti guarda falso per il sesso, a chi scioglie il verde opaco nei riflessi di terra euganea,
tu decidi o preferisci?
Cucinerò per te questa sera, forse sì. Sarà un pretesto per dar lustro ai miei piatti bianchi; della tovaglia poi valuterai il ricamo. E le posate d’argento placcate coi bicchieri da vino conformi non le ho nemmeno spaiate.
Tra due minuti cambio data al calendario -impaziente- e sul tavolo altro non vedo che gli avanzi della cena.
(Suvvia, penserai mica che voglia portarti a letto?)
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(Una donna alla fermata forse pensa che sia prossima la cena).
Sembra perso l’orizzonte sulla retta di via Nizza dove alvei son gli uffici di stazione e del santo di campagna una cupola si staglia.
Giallo a chiazze sono i muri dei palazzi che attenuano lo sguardo vestito sopra il vento sul pigro incedere del fiume.
Non s’appresta il giorno ancora quando l’autobus per Sàntena delle otto e zero quattro precisa a colazione il suo ritardo.
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E’ SOLO ARIA Bella di mille volte alla mia voce sei ora incerta che solo aria divide spazi e vibrano antiche parole sospese o disattese. Bello di mille volte sono brezza ai tuoi silenzi, dove fiumi di sale scaturiscono d’un verde vago e s’asciugano al dopo dei passi. E’ al cuore o un po’ più su la morsa di quest’aria che impedisce il respiro dei pensieri a riposare.
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MEMORIE D’UN SILENZIO
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Ora che brividi scompaiono come imperfezioni si cancellano da matita di un disegno astratto
qui ti ritrovo come autostrada a sensi opposti dove luci non illuminano e l’azzardo dei sorpassi abbandonano i versi in soste d’emergenza.
Avresti solo perso il tempo a ricercare svincoli, mentre fra piatti d’asciugare sguardi lunari volgi ai miei cenni d’una volta senza punti di domanda.
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(SOTTO LE CARCERI NUOVE) a Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu
Era l’aurora di vecchi garage senza più passi di tango dove nell’ombra d’umano cigolava la saracinesca.
Era l’alba dei lunghi pensieri -stampella per utopia- sotto il torrione nuovo guardia vigile al corso di Vittorio Emanuele II.
Crepuscolo al tramonto per voi figli del pane sbriciolato da mani adombrate e da chi figurava compagni a sbagliare.
Lasciateci ora la fiamma d’un giovane fuoco greco che ancora sul muro arde e tornate quaggiù dove nemmeno più il nome rivive.
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Riconosco la fragranza che giunge a schiudere di caffè mattutino al sonno i miei occhi e l’armoniosa melodia d’una sonata che vela di prime giornate l’agosto.
Qui appari inconsciamente fra due tazzine spaiate servite di piattino per far da galateo con il tuo sperso celeste a contare cucchiaini di zucchero.
Vorrei vestire di me l’essenza ed avvolgere la cucina mentre -d’immaginario lineate- le tue labbra sfiorano l’amara bevanda volgendo dallo sguardo basso, un pavido sorriso.
E ritorna ai desideri in cocci l’agra età dei limoni dove costruivo castelli con le carte.
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Sarà brezza quella polvere volata dai miei libri a metà, dove pagine ingiallite s`insaporano di fine?
Lì ti troverò a ricercare i frammenti d’una vita non vissuta in ignota conclusione e quel vento da soffiare sulla neve che ora scioglie fra le mani.
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NOTTE JESOLANA
(a G.B.)
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Non si addormenta la notte che conosce il risveglio del mattino nei profumi dei tuoi respiri e dona lo sguardo smarrito nel bosco di una cerbiatta mentre ti perdo in punta di matita quando il verso spezza l’anima.
Ti ritroverò nei concerti d’autunno ora che svaniscono le tracce in quel canto senza note e ripulirò le macchie dimenticando chiavi d’una gabbia senza sbarre.
Non stringerò ritornelli d’amore in pentagrammi d’amicizia -e si farà dipendenza- ascoltando quel silenzio che immagina labbra sottovoce schiuse in stanze buie
quando sulla mensola del giardino una rosa (una volta in più) sfoglia il suo bocciolo seccandosi sull’asfalto della mia terra.
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D’INVERNO IN PIAZZA STATUTO
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D’UN TEMPO
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ad Antonio Tarantino
Stringilo al petto
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(Dedicato)
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FRA LE LUCI DI UNA NOTTE INSONNE
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DA UN SOGNO
( o forse no )
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QUANTO SA DI TE
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DI SOGNI E DI SILENZI Ho disposto i miei occhi al riposo assoluto come medico di un anziano paziente per non veder tracimare il suo stanco respiro. Ho riempito i suoi spazi nei sospiri d'ombra con nuove parole per non udire il rumore del nulla. Da domani andrò via sorvolando cieli di nuvole grigie divenendo unica goccia che fa traboccare di pioggia il mare dei pensieri. ( E sarà questa l'ultima notte -la mia- di veglia di sogni di silenzi. )
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RITROVARSI Abbiamo messo in fila pensieri scuri come formiche laboriose che rintanano nella fessura di due mattonelle in un ordine solo apparente bevendo da calici con steli sbrecciati lo stesso vino del barone rosso mentre teorie di vita s'intrecciano l'una su l'altra (l'una con l'altra dibattevano) come in un abbraccio di plastica ritrovandoci negli sguardi verdi e blu perdendo ogni timore ogni tremore di labbra su groviglio di dita -le nostre- che vite parallele hanno incrociato fra mani non più nostre
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DIFFERENZE Sono foglia gialla di fronde spoglie su cui si posa farfalla che di breve vita si nutre e di mia rugiada s'abbevera scuotendo le ali dal freddo intorpidite ad inseguire l'ignoto d'iride dipinto. Sono foglia che dall'alto scruta manti -terreni di secche foglie- e del calpestio ne fa melodia. Sono come foglia appuntata su ramo esile scossa dal vento fra foglie verdi di nubi adombrate rivolta unica al sole e affogato nei suoi bagliori rinasco
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NEI MIEI OCCHI
Ho anelato falsi sospiri di celate melodie notturne, rincorsi la sera e calpestati al mattino come foglie secche d'autunno. Ho atteso che nascessi mio Sole e dei tuoi freddi lampi come di primi giorni in febbraio ho scaldato la mia anima di fervore, gelida d'inverno. Ma ora ti voglio, sangue nel mio sangue nascente il primo d'agosto brillante di chiara brezza. E riconoscerò fra le favole di Pandolfo perdere il tuo sonno ed il mio olfatto fra profumi fanciulli nel volo di rondine che la notte librerai nei miei occhi ancora chiusi.
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COME UNA LUNA Ho percepito dall'alto del mio cielo, i tuoi cicli e i moti degli umori tuoi come una luna contempla il suo astro ed intorno costantemente gli orbita. Ho scrutato i flutti dei tuoi oceani rompersi sugli scogli della passione ed in mare aperto fare ritorno. Ho visto le creste dei tuoi monti farsi belle e innevarsi candide per sciogliersi ai primi bagliori di nitido splendore mattiniero. Ho contemplato dal mio spazio, l'incessante avvicendarsi dei cieli neri e color turchino. La tua fresca e innocente gioventù preannunciare la mite stagione. Immediata ad essa succedere, la caduta delle fronde dagli alberi delle sconfinate foreste dell'animo. E come folata di vento spazza via le foglie al suolo discese, ecco che ad essa si accoda l'epoca del grande freddo invernale. Ho atteso con occhio stupito lo schiudersi delle crisalidi divenire farfalle e riprendere il loro andare senza visibile meta di boccioli in campi di fiore, di ridenti pascoli in verdi prati. Ho voluto contaminare, come la Luna sulle terrestri maree, la tua indole del mio carattere. T'avrei nuovamente bagnata come il tempo che fu, nel mio mare della Tranquillità e con esso insegnarti a nuotare. Ma ora che non brillo più a te di propria luce, come una Luna divenuto freddo, riverbero il bagliore del Sole sulla tua pelle. E come al Sole e alla Terra la Luna si frammette, io a te malinconico e inquieto, Contrada del mio desiderio, ora mi eclisso fino a riprendere nuovamente, il circolo vitale e costante del mio esistere. |
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