Nicola Imbraguglio 1-2-3-4-5-6  

I suoi racconti 

Vorrei poter gridare forte
 

Dolce desiderio

Affidami alla notte

A colloquio con me Non dirmi nulla Lo stupore del tempo

IL CILIEGIO E L’ULIVO

La donna che chiamai

STELLE

SE RIUSCISSI

ORA AD ATTENDERE

QUEL SOLITO MALORE Nebbia UNA STELLA MI COGLIE

E l'ora

Che gelo (dedicata a Maurizio)

EMAIL

La luce
AL FIUME CARNEVALE CONCERTO PER PIANOFORTE E ORCHESTRA LIBERO (con dedica per Eugenia) COME CAVALLETTE
 
CONCERTO PER PIANOFORTE
 

MAESTRALE
 

AGOSTO ALL'IMBRUNIRE

ANCORA IO MUOIO

 

E INTANTO FUMANDO L'ERBA DOMANI Al riparo dalla Rocca Orizzonti Tu da me

Donna

A braccia aperte ALLEGRO MA NON TROPPO

 

ANCORA IO MUOIO



Da millenni su di me porto
le sofferenze del mondo.

Tu,ignorando il mio dolore
continui a crocefiggermi,
tutte le volte che non riconosci
tuo fratello,quando chiudi la porta
a chi pane ti chiede e aiuto invoca.

Amore ti do e tu continui di sputi
a farmi segno.
Morirò perciò anche quest’anno,
speranza ancora poi sarò per te
nel terzo giorno.

Ascoltami uomo, non lasciarti
andare alla morte.
Per te io muoio.

 

 

 

 

ALLEGRO MA NON TROPPO

 

Mi nasconderò dentro
il bosco;
mi cercherai ed io,
dalle cime degli alberi
che si agitano,
capirò che tu mi stai
cercando.
Dentro, dietro di me,
chiuderò allora ogni
spiraglio, in modo
da impedire che un filo
di luce possa entrare.
Muto, nel buio, resterò
ad aspettare.
Quando tu sarai
arrivata, io non avrò
avuto il tempo di
accorgermene.

 

STELLE

Rocca possente, grigio e verde muschio;
Rocca che attraversi i millenni e,
pur lentamente, ti consumi;
che a respiro di mare ti protendi,
si aggrappano a te queste case
come figli alla madre.

Nei canaloni di pietra, a volte ,
cielo azzurro mi schiaccia; mi parlano allora
queste mura e, pur se giorno,
vedo le mie stelle.
 
La luce

Portatemi via da questa pietra.

L’ho perso. Figlio; me lo hanno
ucciso. A nulla vale ora il mio
pianto.
Cielo dammi forza, impossibile
sarà vivere senza lui.

Ombra,ascoltavo le sue parole.
Dolci erano più che miele.
D’amore egli diceva e attente
le moltitudini lo seguivano.
A me che per lui temevo:”Madre”
mi diceva “ Io sono del cielo”.

Era mio figlio ed io in silenzio
gli rispondevo: “ Sii prudente,
abbiti cura, perderti non voglio”.
Egli baciandomi sui capelli
silenzioso mi consolava.

Via me lo portarono, con la
forza, e a morte lo condannarono.
Pietà per lui non ebbero e in croce
lo inchiodarono.

Quanta sofferenza, figlio mio
A te, mite, lenta morte diedero,
a te che vita con l’amore avevi
portato.
Madre, forte grido il mio dolore
alla terra:figlio ti ho perso.

Sereno è il giorno e fresco
il mattino.
Vuota è la tomba,rimossa la pietra
Una voce mi giunge: “Madre
non piangere io sono la luce”
 

 

 

 

 


 

Donna

 

Te io cerco lungo orizzonti che hanno
per confine il mondo.

Tu donna,sei madre e compagna.

Sono perché tu sei;poco importa
se sono stato concepito in una notte
calda di agosto o al gelo di una notte
senza casa.

La tragedia del mondo ti prende
in ogni parte della terra quando
pane non hai per i tuoi figli .

Sei dolce più del vento che leggero
accarezza, calda più che un sole;
silenziosa come raggi di luna mi
stai accanto.

Ti amo ed a te mi appoggio quando
il mondo pare crollarmi addosso.
A te penso in questa pausa d’eterno.

A braccia aperte




Ampio si fa il respiro da quest'altura

che l'aria fresca, accarezza.

Più di un'ora è durato il cammino

e sempre più lontano il cielo si faceva.

Ora mio è questo spazio, come il filo

di fumo che lento s'innalza dalla valle

per mano di pastore, il paese lontano

che il cielo tiene sospeso, il dirupo

che veloce precipita verso la fiumara.

Abbandonato, a braccia aperte, su questa

pietra che piatta per pioggia s'allarga

il cielo è mio.

Varcato ho i confini del quotidiano recinto.

A tu per tu mi ritrovo con l'essenza che

ogni cosa in sè comprende.

Si sono annullati i miei affanni e parte sono

di questo frammento d'eterno.

Dentro, con me ti ho portata e sereno

alle nuvole che leggere si rincorrono

ull’orlo di un abisso
dove la mente inorridisce.
Risucchio, buio e freddo,
una mare dove l’io si scioglie
e scompare.

Trema la mia essenza di fronte
a questa vertiginosa soglia.
Una parte di me però non
si identifica con i mie tremori,
da essi non è coinvolta
ché anzi è cosciente dei miei
timori.

Anche adesso che con te sto
parlando, questa parte di me,
imperturbata, osserva i movimenti
delle mani sulla tastiera del computer.
Se si identificasse, mi chiedo,
con i miei movimenti mentali ed
emozionali,come potrebbe
osservarli?

Sarà questa parte di me, silenziosa
e tranquilla, presente al mio trapasso e,
quando arriverà lo osserverà per ciò
che realmente è: un distacco da vecchie
abitudini,uno spogliarsi, una liberazione,
un volo, un espandersi nell’infinito.
San Francesco, penso,volesse dire
le stesse cose lodando la morte
come sorella che stende la sua mano,
che amorevole ci riporta nella nostra
vera casa dell’universale e dell’infinito.

Piango e queste cose dico a mia sorella,
ed essa, non potendo parlare, annuisce
forse perché sente che è questa
la profondità da cui potere attingere
forza per il suo trapasso, al di là della
prigione tempo-spazio.

 

 

 

 

MAESTRALE

Finalmente arrivò il maestrale
con le sue onde possenti
i nuvoloni grigi in corsa
i larghi di spuma bianca
e portò frescura a terre arse
lenzuola da donna stese ad agitar
prese.
Il sole si nascose, solo a tratti
mostrando la sua luce
ché al vento aveva ceduto
il passo.
Di profumo di mare presto
il paese fu preso
ed i gabbiani diedero inizio
alla loro danza sfiorando le creste
delle onde.
Ora era tempo di caponi, di nfanfari,
di dorate aricciole
e solerti i pescatori erano usciti
per il tradizionale appuntamento
col cuore gonfio di speranza
in proficua pesca.
Deserta si fece la rena orba di bagnanti,
né orma rimase perché la spuma
subito la cancellava , e liscia, compatta
si fece tra un turbinio di ciottoli
che il mare portava a riva
e subito si riprendeva.
Pioggia non portò il vento ma già
tante gocce d’acqua marina
dissetavano i tamerici che pazienti
erano rimasti in lunga attesa.
 

AGOSTO ALL'IMBRUNIRE

Pomeriggio d’estate quando
tutto si fa attesa.
Attende la campagna spirar
di brezza che viene all’imbrunire
lungo il burrone delle more e la
notte riempirà di frescura.
Il sole si ritira verso il suo letto,
ma ancora fa sentire la sua
presenza.
Usciamo da casa come formiche;
secchi prendiamo e annaffiatoi e
il gelsomino finalmente potrà bere
come la citronella e i settembrini.
Con l’acqua torna a sentirsi profumo
di terra;tanti altri giorni dovremo
aspettare prima di sentirla gorgogliare
tra i massi che giganti un tempo
misero ai piedi delle querce.
Ma già la sera si fa precedere
dall’imbrunire e tutti ci apprestiamo
all’arrivo di questa notte d’agosto.
Profumeranno i pini del bosco che a
fuoco ancor sopravvive, e con loro
le erbe che sotto si acquattano,sui
massi e nei valloncelli.
Guarderà tra poco ciascuno la sua
fetta di cielo, stesi lungo sedili di
pietra che ci sopravvivono.
Ciascuno avrà la sua stella con cui
parlare.
 

COME CAVALLETTE

Arrivarono come cavallette che paiono
l’una l’altra chiamarsi;
una ,tre, cinque più di dieci;
macchia alata, ogni spazio occuparono
e come quelle ad alberi si attaccano
così questi a parole si attaccarono,
a sentimenti appena rivelati da mani
tremolanti,colmi di ansiosa timidezza;
incuranti , di loro voce aliena tutto
sommersero come alberi che poi
restano spogli di foglia.
Quando il misfatto fu compiuto,
nera nuvola ricomposero alzandosi
nel cielo, e come dall’aere erano venuti
in esso si radunarono per nuovi viaggi.
Deserto si fece il luogo,orbo di primitiva
armonia, silente.

Era passata la morte.
 

CONCERTO PER PIANOFORTE

Si ripetono le note e paiono
fermarsi, poi riprendono
e si allargano come avessero
fame di spazi.
Ti prendono, ti trasportano
nei loro sogni sfumati,
si confondono con questo
accenno di brezza, con l’accenno
in me di un pensiero che è
subito interrotto da una loro
pausa.
Quasi scompaiono nel silenzio,
ma tornano e di melodia l’aer
riempiono.
Struggenti si fanno; sembra che
mi parlino, ma è musica che
il mio cuore prende e, senza
darmi il tempo di pensare già
da te mi portano, e gode
l’animo mio al solo pensiero
che tu esisti e che mi aspetti.
Poi, riprendono il loro cammino
e mi distraggono tra alberi e
cielo.
Tutti pendiamo dalle mani
magiche di un pianista che
pare parlare con la luna.

 

E' l'ora

E’ l’ora della luce.
Abbaglia.
Di calore riempie.
Tutto il paese prende.
Di giallo dipinge la marina
e rosee rivela le pareti della Rocca.
Sull’acqua del mare scivola
e in oro la spiaggia tramuta;
il nuotatore fa muovere d’incanto
verso l’orizzonte.

Si sono fermate le colline.

Ascoltano cicale, prese dallo
scintillio del sole che nel
mare si spezza e in mille
cristalli si riflette.
Si è perso al di sopra dei tetti
il tempio normanno nel cielo.
Non è facile sfuggire a sé stessi
in quest’ora perché soli
si rimane con la propria anima.

 

Che gelo (dedicata a Maurizio)

Che gelo, operaio di Terni.
Spento hanno i forni
che pane diedero.

E’ già accaduto a Termini Imerese
e prima ancora ad Arese.

E’ il sistema che viene messo
in discussione.
Cade a pezzi la Costituzione.

Dicono che sia cosa utile e giusta
e che recuperare occorre gli anni perduti.
Cancellano perciò quelle che si chiamavano
conquiste dei lavoratori.
“Compagni” era il vostro nome e ne
andavate fieri.

Poi fu il tempo dell’oblio ed anche tu
dimenticasti che era l’uomo l’essenza
del discorso.
Consumismo, si chiamò la tua aspirazione

Viene da lontano la tua disperazione
I forni, anche da te lavoratore sono
stati spenti;ma tu eri troppo preso
dalle illusioni per dare corpo ad ogni
preoccupazione.

Venne la pioggia e tirò un vento freddo.
Quelli di sempre ti scavavano la fossa,
e tu dentro vi cadesti come era logico
che fosse.

Spenti furono i forni e il pane tuo e dei
tuoi figli messo a rischio.
Spento però non s’è il fuoco che ti porti
dentro.
Soffiaci forte allora amico mio, assieme
ai tuoi compagni, talchè di nuovo esso
divampi.

 

 

 

 

 

 

 

La donna che chiamai

Dell’amore mi innamorai
e gli diedi un volto,
due occhi, due labbra,
un corpo, fluidi capelli.

La invocai e l’eco,
rispondendomi, mi ingannò.
La donna che chiamavo
era desiderio.


 

EMAIL

Mi aprì il suo cuore come
a persona amata di cui
non si ha da tempo notizia
Mi disse della vita di ogni
giorno, che il paesaggio di cui
tanto mi aveva altre volte scritto
non era più quello che in lui
nasceva dall’osservazione
del mare e della sua spiaggia.
Altri erano, nel buio del primo
mattino, i luoghi misteriosi
ed accattivanti per la mente.

Ci eravamo da tempo abituati
a scambiarci per email impressioni,
idee, sentimenti.
Caduta era così la lontananza e
leggerci s’era fatto dolce ansia.

Al chiarore della lanterna, nella mia
sperduta campagna, forte si fa ora
il desiderio di sapere di quei luoghi
misteriosi e accattivanti per la mente.

Esco; il cielo, è trapunto di stelle.
Un pensiero mi prende: e se quei
luoghi fossero ancora l’intelligenza
dell’uomo che il buio attraversa?

AL FIUME

Fermiamoci ad ascoltare il fiume,
lo scivolare dell’acqua.
Soli, spogli di affanni, perduti
tra questa massa scura d’acqua
di mistero, che orizzonte fa
l’altra sponda.
Lunghe file di platani
ci proteggono dal mondo
e complici ci colgono
l’uno accanto all’altro,
pronti a lasciarci travolgere
da questo sentimento
che si perde nel tempo
come l’andare dell’acqua
che corre verso il suo destino.
Amanti, d’amore dolce è
lasciarsi perdere.
Sereno un cielo ci sorride.
 

 

CARNEVALE

Brusio assordante. Folla,che
spinge,soffoca,ti ignora.
Luci ;ovunque, in piazza,
nei balconi stracolmi.

Si agitano. Arriva un carro.
E’ musica. Danzano donne
discinte attorno ad un puffo
gigante dai colori sgargianti.
Paggi, cavalieri e fatine
in tanto trambusto immobili
stanno.

Scuro è il cielo. Estraneo
ad un tratto mi sento.
Le tante attese inutili,
i perché senza risposta
mi sovvengono, si fanno
assordanti.

Dove sei?
 

CONCERTO PER PIANOFORTE E ORCHESTRA

Le note del pianoforte vorrebbero
libere andarsene per il cielo.
L’orchestra le lascia volare, poi
le riprende e fili di luce tesse
con loro.
Da mani leggere si lasciano
sfiorare, come spirare di vento
che accarezza il grano; respirar
di foglie ascoltano.
Di poesia si colma l’anima mia
e loro l’accarezzano più che
soffici piume.

 

LIBERO (con dedica per Eugenia)

Sera di febbraio che pare
anticipare primavera quando
profumi si leveranno da questa terra,
quando il mare si fermerà a contemplare
la luna.
Odorano di alghe i setti scogli
d’acqua di mare scoperti
e lo sguardo poggia nelle tremule
luci del paese.
Tenerezza dentro mi prende.
Dimentico che chiuso continuo
a vivere in questa stanza e libero
il mondo io amo.
 

Nebbia



Nebbia, fitta, immobile
che impedisce persino il ricordo
del cielo, i colori della mia terra.
Vivo senza tempo, tra una speranza
che si va facendo sempre flebile
e che cede il posto all’incubo di
di non potere più tornare.
Fermo, come questa nebbia
che mi angoscia,mi impedisce
di urlare le mie paure,la mia disperazione
la impotenza ad uscire da questo tunnel
che da mesi mi tiene legato.
Ho tanta voglia di affidarmi
ad un vento leggero che mi dia
tregua, mi consenta un respiro profondo.
Ma nulla lascia intravedere
un cambiamento.

Mi è di conforto sapere che ci sei.


UNA STELLA MI COGLIE



Da tempo cammino lungo i sentieri
dei ricordi.
Mi invento albe e tramonti.
Dentro di me cerco orizzonti,
risposte alle mie tante domande.
Dal cerchio non riesco a venire fuori
e flebili sempre più si fanno le risposte;
il panico mi prende e la ragione
si allontana.
Già, la ragione ; ma è proprio questa
che mi spoglia di ogni illusione e
a tu per tu mi pone con me stesso.
Vivo, si fa per dire,in un recinto.
La speranza che nasce la mattina
a sera si spegne.
Difficile si fa il sonno , discontinuo,
pieno di ombre, di assordante silenzio.
Una stella mi coglie nel mio letto e
per un attimo da lei mi lascio prendere.
Così ,chiudo gli occhi e vado incontro
al nuovo giorno.

Vorrei poter gridare forte

Segnano il passo da tempo i miei
giorni.
Vorrei spezzare questo mio
grigiore ed urlare al mondo
questo sentimento da quel pizzo,
dedicato all’Angelo, dal quale
attraversavo, con lo sguardo,
questa mia terra e scoprivo
l’Etna all’orizzonte tra nuvole
di inchiostro.
Al vulcano assomiglia questo
ribollire di sensazioni che
dentro mi porto.
E’ figlio della solitudine questo
mio sentire.
Triste è non potere muovermi
liberamente, incontrarsi,
amare.
Si affaccia ogni tanto un raggio
di sole, e così esco dall’asfittico
mondo dei ricordi e, per un attimo,
penso di potere seguire il tuo passo,
persino di poterti ancora amare.
Torna presto però questo silenzio
che accompagna i miei giorni..
Si accenderà un televisore e
andrò incontro al sonno.
Ma tu ci sei.

 

 

 

 

Dolce desiderio

Verrà il giorno dei lunghi
colloqui, dei muti silenzi,
delle tenere carezze;
il mio capo poggerò
sulla tua spalla e libero
lascerò andare il mio pianto,
come quando mi fosti strappata
per un amore finito.
Nel silenzio di quegli attimi
capirai quanto mi sei mancata.
Tu non soffrire quel giorno:
si incontra un padre con sua
figlia.

Affidami alla notte

Si succedevano le stagioni
tra colori e sogni.
Non sono stati i venti
né le bufere di maestro
a piegarmi;
né il tradimento di colei
che avevo tanto amato e
che un giorno decise di
lasciarmi per un altro.
Ha cominciato a spegnersi
la mia vita quando tu,figlia
mia,hai deciso di non rivolgermi
più la parola per un torto che
magari non ti avrò fatto; quando
questo male, che mi è stato
compagno in tutta la mia vita,
mi ha costretto tra le pareti
di una stanza.
Come nebbia, di solitudine
si è riempita allora la mia vita.
Passato è il tempo ed io, sempre
più spesso,mi trovo a parlare
con il mio male che tanto dolore
mi dà e riempie di paura i miei giorni.
Sto cedendo, lo sento,anche se
ancora non rinuncio alla speranza.
Una cosa lasciami però dire: bella
è stata questa mia vita perché a
tanti ho voluto bene e tanti bene
mi hanno dato.
Arrendermi alla fine vorrei
come sonno che sereno affida
alla notte.

 

 

 

 

A colloquio con me

 

Questa sera voglio ascoltare
la mia solitudine.
Un dolore a volte mi prende
quando su di me sento pesare
secoli di Storia.
Vita, tu sai quanto ti ami;
non abbandonarmi adesso.
Ho ancora voglia di tanta
dolcezza.
 

Non dirmi nulla

 

Non dirmi nulla quando
la luna di sua luce ti prende;
fammi ascoltare il vento
quando muove i tuoi capelli;
raccontami di te con questo
silenzio;
i tuoi occhi dammi ché
io possa in essi specchiarmi;
riempimi di dolcezza che solo
tu sai darmi.
Compagni nella notte ci saranno
i grilli.
In noi scopriremo l’immensità
dell’universo.

 

 

Lo stupore del tempo

 

Soffice il vento arrivava nel bosco
e felice il pastore l’accoglieva.
La luna gli appariva e poi nel
firmamento si perdeva.
Di stupore l’uomo si lasciava
prendere, interrogando i giorni
e le notti,attraversando mari e
colline,per perdersi in orizzonti
senza fine .
Come le stagioni, nella sua vita
la gioia si alternò al dolore.
L’uomo si era convinto che il mondo
si muoveva con l’universo e che egli
era parte di quell’immenso.
Sereno scivolò il suo tempo.
Quando arrivò il giorno del grande
salto, il pastore se ne andò via
portando con sé lo stupore
per un fiore che puntualmente
si apriva alla primavera.
 

 

 

IL CILIEGIO E L’ULIVO

Due alberi piantai con mio
padre all’età di sette anni:
un ciliegio ed un ulivo.
“Crescerete insieme”
disse mio padre mentre
con cura le pianticelle
ponevamo nella buca.
Ricordo la solennità di
quel momento.
Il ciliegio, un giorno, me
lo ritrovai accanto con rami
che partivano per il cielo
ed altri che si aggrappavano
alla casa.
L’ulivo aveva dovuto lottare
contro la siccità e le pietre
per mettere radici;
ne era per me un segno
il suo tronco contorto
come anima che rivela
tutta la sua pena.
Pareva che i rami dell’uno
volessero carezzare quelli
dell’altro.
Di tante notti entrambi in
estate mi sarebbero stati
compagni quando mi
proteggevano dalla luna
o dalla conta delle stelle.
Ricordo mio padre, supino
su di un sedile di pietra
affidarsi al cielo della
notte e mia madre che
con uno scialle lo copriva
perchè i rami non lo avrebbero
riparato dal “sereno”.
Complice mi sarebbe stato
il ciliegio in tante notti
d’inverno quando forte
il cuore ci batteva per baci
rubati al gelo al riparo dei
suoi rami spogli.
Fu il ciliegio il primo a
morire dopo tanti anni.
Scuro s’era fatto il suo
tronco; l’ultima foglia
cadde in Agosto.
Al contadino dissi di
tagliarlo con cura.
Rimasto è l’ulivo e so
che mi aspetta nei giorni
d’estate in cui mi è consentito
raggiungere ancora la mia
campagna.
Sarà parte della memoria
dei miei figli.

 

 

 

 

SE RIUSCISSI



Se riuscissi a trasformare
in musica questo sentire,
dipingere immagini;
se riuscissi a farmi
comprendere da te,
mio compagno di questo
angolo di terra,
se insieme facessimo cadere
questi “ se”,
forse ogni cosa salveremmo
graffiando anche noi
le pietre di questa Rocca
per comunicare la nostra
scoperta a coloro che un
giorno rifaranno lo stesso
nostro percorso.

ORA AD ATTENDERE

Il giorno mi porta speranza
che al tramonto si fa delusione,
dolore che solo oblio della notte
annulla.
Mi ripasso luoghi a me cari,
non sfuggono pietre, alberi,
burroni, il profumo delle erbe,
le gelate d’inverno che l’erba
rendevano cristallo, la nebbia
entro cui ci riparavamo nei
nostri incontri,la pioggia
insistente, le rare nevicate che
di silenzio ovattavano la campagna,
e l’arrivo della primavera
pronta a schiudere nuove gemme,
soffio di vita a ciò che prima
era silenzio, e l’estate con i giorni
del sole caldo, persino spietato,
addolcita da mattinate di brezza,
dal mio scivolare nell’acqua e poi
sul dorso a braccia aperte ad un cielo
a me vicino.
L’autunno arrivava nella mia campagna
lentamente come sonno che piano
ti prende, puntellato di rosso, di foglie
in balia del vento, di uomini che come
formiche si preparavano all’inverno.
Dolce è stato vivere.
Ora sto ad attendere e so che vana è
questa attesa, ma non rinuncio alla
speranza.

 


 

QUEL SOLITO MALORE

Mi sono sentito mancare di nuovo
e però, sia pure con fatica,
mi sono rialzato.
E’ stato il solito attimo di
smarrimento; tu ne sei venuta
a conoscenza, e ti sentii
lontana , come portata via
da quella corrente che tante volte
deserto ha reso la mia vita.
Poi ho riascoltato la tua voce,
smarrita, per me preoccupata, e
avrei voluto asciugare le tue
lacrime, dirti: è niente. Esisto
ancora .
Continua a non lasciarmi solo
in questo nostro errare.
Ti ho inviato una carezza.
 


 

 

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300" size="3">ORA AD ATTENDERE

Il giorno mi porta speranza
che al tramonto si fa delusione,
dolore che solo oblio della notte
annulla.
Mi ripasso luoghi a me cari,
non sfuggono pietre, alberi,
burroni, il profumo delle erbe,
le gelate d’inverno che l’erba
rendevano cristallo, la nebbia
entro cui ci riparavamo nei
nostri incontri,la pioggia
insistente, le rare nevicate che
di silenzio ovattavano la campagna,
e l’arrivo della primavera
pronta a schiudere nuove gemme,
soffio di vita a ciò che prima
era silenzio, e l’estate con i giorni
del sole caldo, persino spietato,
addolcita da mattinate di brezza,
dal mio scivolare nell’acqua e poi
sul dorso a braccia aperte ad un cielo
a me vicino.
L’autunno arrivava nella mia campagna
lentamente come sonno che piano
ti prende, puntellato di rosso, di foglie
in balia del vento, di uomini che come
formiche si preparavano all’inverno.
Dolce è stato vivere.
Ora sto ad attendere e so che vana è
questa attesa, ma non rinuncio alla
speranza.

 


 
QUEL SOLITO MALORE

Mi sono sentito mancare di nuovo
e però, sia pure con fatica,
mi sono rialzato.
E’ stato il solito attimo di
smarrimento; tu ne sei venuta
a conoscenza, e ti sentii
lontana , come portata via
da quella corrente che tante volte
deserto ha reso la mia vita.
Poi ho riascoltato la tua voce,
smarrita, per me preoccupata, e
avrei voluto asciugare le tue
lacrime, dirti: è niente. Esisto
ancora .
Continua a non lasciarmi solo
in questo nostro errare.
Ti ho inviato una carezza.
 


 
 

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