Nico Guzzi

 

“Sognai quella notte”

         

 

 

“Sognai quella notte”

di Nico Guzzi

John era seduto sulla spiaggia in riva al fiume, accovacciato, era tardi ormai, non si sentiva che qualche grillo cantare e il lieve scorrere dell’acqua che la luna illuminava rendendola così pacifica. Era lì che passava le sere John, a volte anche tutta la notte, in silenzio, da quando suo padre era morto a causa delle lesioni al cervello seguite a un incidente stradale. Così usciva dopo cena e rimaneva fuori fino all’una di notte, forse pensava che prima o poi avrebbe incontrato proprio sulla spiaggia il padre. Era quasi l’una e John stanco si avviò verso casa, fumando l'ultima sigaretta del pacchetto; entrò dalla finestra della sua camera, come ogni sera, ascoltando un po’ di musica, del vecchio e sano buon rock, e verso le due se ne andò finalmente a letto. La mattina sembrava un cadavere vivente, una forma di vita tutt'altro che umana, andava a scuola sempre e comunque ma non gli suscitava alcun interesse, sapeva che il suo futuro sarebbe stato altrove.

Era giunto anche quell'anno quasi Natale, John aveva avuto fin da piccolo un animo troppo indipendente, non chiedeva mai pareri a nessuno o comunque finiva per fare ciò che voleva, così con la madre vi era continue discussioni e litigi che si risolvevano nonostante tutto con la solita ironia di John che tendeva spesso ad alleggerire i toni degli scontri; solo il padre riusciva ad avere dialoghi prolungati con il figlio che in lui vedeva un modello da seguire; ma il padre dopo 8 mesi di coma vegetativo era morto; la madre d’altro canto passava gran parte del tempo a lavorare per consentire a John di condurre una vita decente. E’ così che quando arrivò il Natale, il giorno scivolò via come tanti altri, che senso aveva festeggiare? C'erano comunque i regali, la madre aveva comprato a John una chitarra elettrica, dalla sua espressione non pareva essere stata un idea azzeccata. In essa John non vedeva altro che un freddo strumento a corde che oltretutto non sapeva neanche usare; aveva altre passioni, altri sogni, voleva diventare un grande nuotatore; andava infatti tutti i giorni in piscina ad allenarsi, aveva vinto numerosi trofei ed era appena entrato a far parte della nazionale giovanile di nuoto, la chitarra così venne relegata ad un angolo della sua stanza..

Passò il mese di Gennaio, il tempo scorreva ma da quando in quella casa era entrata quella trasandata chitarra qualcosa stava cambiando, in meglio, in peggio, la sera dopo cena John non usciva quasi più per andare al fiume, stava ore e ore a suonare, canticchiava qualche motivetto, improvvisando melodie seguendo gli accordi. Il nuoto stava passando in secondo piano e dopo qualche tempo tra la disapprovazione della madre e lo stupore dei suoi compagni di squadra un giorno smise di nuotare. I rapporti con sua madre peggiorarono così tanto che decise di andarsene da casa trovandosi un lavoro, lasciando la scuola e affittando una casa proprio lì, vicino al tanto amato fiume. Una chitarra, quella che la madre aveva donato al figlio, aveva distrutto quel po' di calore familiare di un tempo, la famiglia si era dissolta. La madre piangeva oltre che al padre anche il figlio andato via, ripensava a quel momento in cui comprò quella chitarra, le era sembrata un ottima idea, ma nessuno può conoscere tutte le conseguenze delle proprie azioni finché non si sono verificate.

La giornata di John trascorreva clonata da lunedì a venerdì, a volte anche il sabato se decideva di fare degli straordinari. Si alzava la mattina per dirigersi alla fabbrica di ceramiche dove lavorava, a pranzo mangiava qualcosa per strada, solitamente un panino con hamburger e insalata, il pomeriggio ancora a lavorare fino alle sei, la sera finalmente nella sua casetta in affitto sul fiume provava a cucinare ciò che la madre le faceva quando viveva ancora sotto lo stesso tetto, come prevedibile il risultato non era quasi mai paragonabile ai piatti della madre che tanto aveva gustato; dopo cena suonava, suonava cantando, migliorava di giorno in giorno, amava farlo, aveva voglia anche di farsi ascoltare, voleva formare un gruppo. Così mise un annuncio su una rivista, era ansioso e fiducioso, aspettava con impazienza che il telefono di casa squillasse, ma passarono giorni e con essi la speranza si faceva meno intensa. Nessuno lo chiamò mai. L’impossibilità di esprimersi, di comunicare gli creava uno stato di crescente depressione, cominciò a bere e quando le cose vanno male non è poi così difficile entrare nei giri sbagliati, i paradisi artificiali diventarono una soluzione, la fuga dal mondo, l'astrazione, tutto ciò si nutriva della solitudine, del silenzio e li alimentava a sua volta; gli capitava di scoppiare a piangere, altre volte urlava di rabbia, altre volte ancora rimaneva fermo con lo sguardo fisso nel vuoto. Era dimagrito una decina di chili e di quel fisico scolpito dall’allenamento quotidiano era rimasto ben poco, ormai non aveva alcun interesse per il mondo che gli girava intorno. Era rimasta solo la musica, la chitarra. Tutto ciò sarebbe bastato per allontanarsi dal baratro dell'autodistruzione?

Una sera mentre stava suonando e intonando una sua canzone, bussarono alla porta, andò ad aprire, non c’era nessuno. Era completamente buio, un denso e pesante buio, neanche un piccolo raggio di luce illuminava la notte, un brivido di terrore assalì John. Ad un tratto dalla spiaggia sentì qualcuno chiamarlo, con gran coraggio si avvicinò. Quella voce calda gli era sembrata familiare. L’uomo salutò John che dopo un momento di smarrimento in quel volto poco illuminato riconobbe il padre, era venuto a trovarlo. “Ti ho sentito cantare John? Non sapevo avessi questa grande dote, riesci a trasmettere le emozioni più intime e profonde con poche parole, con qualche accordo; devo ammettere che ti si può considerare un vero artista” Il figlio non riuscì a dire niente, esplose in un pianto. “Non avresti comunque dovuto abbandonare la scuola, il nuoto, ma soprattutto tua madre che ti ha sempre amato, hai passato momenti difficilissimi nella tua vita, lo capisco, so che hai agito seguendo la passione, i sogni, non ti condannerò per questo, ognuno ha il diritto di sbagliare inseguendo i bisogni della propria anima, avresti dovuto però guardarti anche intorno, perché c'erano persone che ti volevano bene e tu egoisticamente le hai tralasciate, so di certo che con la tua purezza d'animo rimetterai tutto a posto, ti salverai, tu hai una forza unica, saper amare fino alla morte senza risparmiarti, devi solo volgerla nella giusta direzione” John tentò di abbracciare il padre che però scomparve, svanì nel buio. Ritornò a casa con un senso di felicità, di leggerezza, ma per questo motivo gli sembrava anche di vivere in uno stato di trance, di realtà parallela, era turbato, si coricò sul letto, ma quell’interminabile notte non riuscì a chiudere occhio. Fu la notte più lunga della sua vita, dove passato, presente e futuro si intrecciarono per fondersi in un unico istante.

John fu ritrovato 2 settimane dopo, morto, steso sul pavimento di legno di quella casetta in riva al fiume, di fianco alla sua chitarra, il suo volto era disteso, lieto, era morto contento; dopo aver scritto la sua ultima canzone si iniettò in vena un misto di droga e medicine ed è così che morì, senza una smorfia. Quando un agente di polizia entrò in casa lo stereo era acceso, continuavano a riecheggiare le canzoni che John aveva registrato da solo. Quelle stesse canzoni furono incise su un disco, vendute e John ebbe riconoscimenti da critici e ascoltatori. Era considerato da più parti un grandissimo musicista e poeta.

Forse ora potrà stare insieme al padre, alcuni credono che la sua anima aleggi ancora lì, sulle rive del suo caro e vecchio fiume. Qualcuno giura anche di averlo sentito cantare dopo la sua morte.


 

Anima aleggia


 

Sul pavimento gelido

giaceva tremante disteso,

a singhiozzi respirando,

e un sorriso tiepido accennando.

Gemendo, ma ridendo,

John è partito,

eternamente rilassato.


 

Anima aleggia sulla spiaggia,

anima aleggia in riva al fiume,

e serpeggia nella notte

rischiarata da una Luna

che si offre col suo Lume.


 

Questa è l’ultima strofa

del suo dolce scrivere,

è l’ultima gioia

del suo amaro vivere.

Vibrando afflitto, ma ridendo,

John è partito,

eternamente rilassato.


 

Anima aleggia sulla spiaggia,

anima aleggia in riva al fiume,

e serpeggia nella notte

rischiarata da una Luna

che si offre col suo Lume.

 

 

 

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