Livio Blocco 1-2

 

Il destino, tuo e mio,
 
Avanti Gentucola EISEL Lillà Ma er portale Dipingere l'umore
Era cantata
 
E in ogni caso Solo rimane dipinto Occhietto piccolino, Dimme, cantore C'ho visto na croce, Si rammentano le storie
Ma cè sempre una domanda
 
Tante cose fra le ortiche Quando una luna mi riporta indietro Quantunque le passioni TIBET La rassegnazione
 
Ora
La mia accidia
 
Sole che scendi Pupa strana, Mosse ancora le radici La nuvola Cecilia
 
Ner senso...
Nulla è più dolce

 
Posso pensare
 
Nella mente
 
Nell'ammissione
 
Incantata
 
Piazza cinese Chi non sa cosè un politico

 

 

 

 

 

 

 

Ora,
non c'è più spazio per pensieri
sulla vita per la vita.
Superato ho il momento
ora,
cavalco disperato questo vento
che accarezza una speranza non finita
ieri,
quei suoni dai monti, guardando una salita,
ora
io sento.

 

 

 

 

  Ner senso...
"era mejo se m'accontentavo"
m'aricconti  "eri mejo te...";
ma quanno te ne sei annata
che parevi inseguì la luna
io davvero t'ho 'nvidiata
'na collana de penzieri,
e so' rimasto co' la cruna
de quei giorni, fino a ieri,
finché nuda sei tornata
ner senso...
che era mejo se penzavo già
d'allora, io, ch'ero mejo  me.


 

 

 

 

 

 

Piazza cinese

        Tieni a mente, Primavera,
Praga e  Cina tanto uguali.
E sbocciarono di rosso
pochi sogni, ma ideali.
Tieni a mente: sulle spine
s'è posata un'altra storia,
sempre uguale al come e quando
delle stragi. E la memoria
tiene a mente, prima ancora
di parlare, e inorridire:
solo i giorni dell'amore
sanno essere e morire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chi non sa cos'è un politico
Colui che parla in fare enfatico
E che sa d'esser fatidico,
con due frasi messe appresso
in un modo nebuloso
oppure subdolo ed ambiguo;
chi non sa cos'è un politico.

Cecilia

Schiuma leggera di un sorriso blu

rapita alla luce per far lume alla notte;

io da quel giorno

sogno,

scoloro il viso e creo qualcosa in più,

leggero nel cielo per far posto alla morte

giù, sulla terra,

tetra,

spose del vento solo piume e tu,

vestita di rose incantate,

luci rabbiose

nelle lacrime da vendicare

o scordare in oceani

di carezze stanche,

mentre tremi di una paura antica

sempre più, lentamente,

ritrovi la pace

e dormi, e sogni e ridi

e occhi, chiusi e raggianti

eternano

l'ansia di Dio

nel mondo,

sei tu.

 

 

 

 

 

 

Dipingere l'umore di uno sguardo in lontananza
crea colori di un destino
addolcito nei pennelli
che hanno misto con sapienza certe gioie a quei dolori;
e solo sa cantare l'orizzonte quella voce
che miscela la natura
e fa nascere poesia
con la morte della notte, nella vita delle stelle.

 

 

 

 

 

 

 

Si rammentano le storie
scalzandone i segreti,
che d'altronde erano noti,
e godendo a farne scempio
noi sguazziamo in vilipendio
ai vecchi  miti nostri
e a chi ci crede ancora!

   Nulla è più dolce del proprio sentire

a tratti, dal nulla,

l'io che reclama la propria esistenza,

e intorno dissolve maschere avulse

e miseri miti. 'O savia demenza...'

tutto scompare là dove imperava

un'io che riscuote

dai servi aggiogati tutta una vita

rincorsa a sbranare, e ora ricordo:

nel mentre volava, ed era ferita

 

 

 

 

 

   Posso pensare a cose più  grandi

eppure permetto di farmi stancare;

dentro il concetto di viver la vita

non c'è stata mai aria

per terre più rare.

   Così mi ammalo di civica ignavia

agli occhi del mondo, del loro consumo,

spinto più a fondo dal senso di morte

balbettando reazioni

con torri di fumo

   e veli pietosi al nostro passato.

Un giorno si nasce in un gioco che ha fine

dentro ganasce che è stolto aspettare

se non ho più  pensiero,

mio, oltre il confine.

 

 

 

 

 

 

 

Nella mente

C'è nella mente...

la lontananza che sibila

i ricordi d'infanzia delusa,

uomo maturo,

che cresci alte mura sui campi da gioco.

   C'è dentro il vento...

un'impotenza abbattuta

della vita legale dei sogni,

uomo reale,

che pensi al futuro di tasche malate.

   C'era sui rami...

una voglia di alzarsi e

tendere mani come bambini,

uomo già  morto,

illuso creatore di bare invadenti.

Tu hai nella mente

la superbia distorta

e hai nelle mani

l'orrore che porta

la vita non tua, veduta e già colta.

 

 

 

 

 

 

Nell'ammissione del limite umano...

nasce il dubbio e trovo Dio.

D'altro canto non mi portano

i miei sforzi mai di fuori,

e nel mio corpo non c'è  mano,

resto solo, solo io

e le mie sere quando esortano

a pensare... pazzie dentro i clamori:

gente, mai ribelle di sé stessa,

si rinnova muore nasce

dentro il ruolo della gente,

se mai vita le è concessa.

 

La mia accidia, impastoiata,

non lo sa che non va bene,

pisolare sul destino

quando il mondo intero freme.

     La mia accidia,

come un cane acciambellato,

non capisce a chi fa male

quando acciuffa i suoi torpori

mentre tutto gira uguale,

e riprende a trascurare

vane corse, e lascia soli

i grandi atleti del momento

aumentando la speranza

di chi cerca la vittoria;

strana gara, finta gloria,

se a qualcuno importa niente,

come ai pigri ai quali serve

quanto basta a non sbavare

dietro al collo della gente.

 

 

 

 

 

 

 

Incantata da una sfera di cristallo

l'altalena dei tuoi occhi spalancati,

liquefando la mia rabbia e la paura,

vola via.

 

Sole che scendi,

cuore che muori,

sotto le sponde

che nascono sempre

a nascondere facce

di strani dolori.

     Cuore che nasci

sotto quel sole

vivido o tenue

secondo le ore

che cantano insieme

parabole vecchie

o spente parole,

fatti illusioni

e vivi gli amori

senza ascoltare

santa sapienza,

ma solo il tuo sguardo

sopra i colori.

 

 

 

 

 

 

 

Pupa strana, pupa bella,

quanto dura  'sta salita,

senza n'attimo de tregua

fa  sortì n' artra fatica.

E poi, che scemi, smadonnasse

pe' le storie e pe' li guai

manco nostri e ancora 'n testa

de 'sti vecchi rimbambiti

appena nati. Senza core

pe' 'mbriacasse de risate,

pe' gioi’ de 'na giornata

senza tossiche parole;

scatoloni de cartone

a preparasse gia` la bara

pe' fa 'r gioco dei padroni

pe' 'nvecchiasse appena nati

pe' 'n sape` guarda` 'na stella,

arimangono giu` 'n basso,

pupa strana, pupa bella.

 

Mosse ancora le radici

ripetendo

piano piano

la stagione dell'amore

conoscendo

caso strano

la rinuncia dell'amore

con lo sguardo

da lontano;

i suoi fiori per gli amici

e al bastardo

già ruffiano

fato freddo traditore

che insegnando

dai una mano,

di cinismo fermi il cuore

raggelando

piano piano...

 

 

 

 

 

 

 

La nuvola che sposta le risate,

pe' fa posto a quarcos'artro,

nun sa che solo in mezzo se pò mette

pe' rompe le saccocce a quarche d'uno,

nun sa che solo er vento lo permette,

perché 'r monno sia più scartro

a tenesse sempre mejo

cose belle , oppure amate.

 

 

TIBET       

 

 

     Ultime grida volate a dispetto

di un'informazione sempre settaria,

metrata dal soldo

va a caccia di streghe

o cose scontate,

facili a dirsi.

O forse è il buon senso

a non dare sentenze,

a insabbiare gli orrori,

troppo giganti

e tanto lontani

dal nostro pensiero,

di civiltà balorde e arroganti.

Ma al tetto del mondo

sono arrivati...

e come locuste

divorano a sbafo

campi e colture

già millenarie

quando l'insetto dicevasi larva,

rozza e ignorante, buona a affogare,

infilzata da un amo di cose balorde,

sempre le stesse , sempre nel mare

di gente fottuta dal falso lampante,

chiude i suoi occhi credendo all'udito

e parla e ripete gli slogan bugiardi

come non fossero scuse carogne

come non fosse chiaro e banale,

guerra, violenza, e larve a sbafare.

 

 

 

 

 

 

 

 

La rassegnazione, che non fa più soffrire...

cavallo sfrenato, sopra i morti di mille battaglie,

vittime inutili, e ideali squarciati,

passano sotto il sollievo di rese

dolci e gentili nei sensi sfiancati.

 

     E torna un respiro scordato e il silenzio

che svuota la testa fa male e dà pace,

come una spina tolta alla fine

di un tempo infinito, ora calmo e sereno

nel regno potente di un cuore indurito:

 

"cinico mago,

incanta per sempre

immagini mosse

solo da un treno".

 

 

Quando una luna mi riporta indietro

sopra i capelli mossi dal vento del mare

      d'inverno d'incanto mi sento

      volare, e poi ancora stupore,

          nel fango del tempo

         che manda in letargo

         amori lontani perduti

      nei sogni che hanno creato,

          fantasmi di sabbia

       mossa dal vento del mare

      d'inverno d'incanto diventa

          illusione e poesia.

 

 

 

 

 

 

 

Quantunque le passioni rinomate del peccato

siano sempre umanizzate

da chi gioca al porco santo,

non è detto che io cada

nel tranello di una moda

buona solo a fare vento.

Brezza strana, in quanto vedi

dove nasce e dove muore,

che non va dove gli pare

e che guardi ma non odi.

Aria strana, falsa, sporca in questo mondo,

sempre fatta da qualcuno, resta solo puzza orrenda.

 

 

 

     Ma c'è sempre una domanda

che ha già pronta l'etichetta...

E tutto appare intorbidito

mentre cerco le parole

per spiegare che i doppioni,

quelli neri e all'altra parte,

sono tali oggi e ieri

e ancora e sempre più distorti,

vecchie copie di un passato

che già in tutto è stato autore

e che rimane, e sempre, è stato.

 

 

 

 

 

 

Tante cose fra le ortiche

societarie, traditrici

soffocanti con le storie

sempre uguali dei cannoni,

state fermi, state buoni,

dove non puo` stare un fiore.

E ricordo meretrici

piu` fedeli come amiche

delle favole narrate

per bloccare al proprio posto

quattro negri rimbambiti

di morale da formiche;

sane cose per falliti

che non hanno mai supposto

quanto falso spudorato

nella luce di quel sole

raccontato dalle ortiche.

 

 

 

 

 

 

Era cantata, la sola allegria,

finta, sdraiata, protetta

da risa, complici amare

dall'alito forte.

E una bottiglia

a guardargli le curve

calde, inebrianti,

fedeli e disposte

sopra le cose, sopra i pensieri,

danno tepore e fanno girare

i quadri, la stanza

tutto il normale

di cose sognate

da quando, da ieri

da sempre nel tempo

ormai spiritato

e ubriaco di risa

fatate e sincere.

 

 

 

 

 

 

 

C'ho visto 'na croce,

sopra letame

in mezzo a rifiuti

sotto una pioggia, acida e lieve;

da sotto la croce,

rigagnoli putridi

scavano valli

e stagnano lieti

del loro operato.

Vicino alla croce,

corvi che ridono

e saltano intorno

come irrequieti dementi e

ancora rivedo

curare la croce;

senza piu` aceto,

ma santa vernice

e tutto va a posto.

 

E in ogni caso

preferisco pensarlo,

per tanti motivi,

riuniti nel mazzo

mischiato dal tempo,

volati per aria

ad ogni occasione,

raccolti dal caso

che mescola carte

dure e sapienti

come il destino.

E torna, davvero,

in mezzo al languore

rosso, mozzato,

stesso pensiero

intorno alle cose

che girano forte,

intorno, e da sempre,

ancora straniero.

 

 

 

 

 

 

 

     Solo rimane dipinto

l'oro che nasce, e poi cambia sembianza;

esce dai monti    

fiume splendente,

accende speranze 

gridando vendetta

nel cuore smarrito   

di chi spera ancora, 

povera gente         

marcita di storia... 

 

sola, rimani stupita,

l'oro, che a valle, distrugge ogni cosa,

fuscelli indifesi

ubriacati di gloria             

vana e forzata

dentro la gola

da forti castelli               

che fanno trincee               

con masse di carne               

al fiume che arriva.  

 

Sola, rimani beata

sacra collina, che tutto hai guardato

sentito e pesato,

tu sola, intoccata,

nell'angolo santo

del quadro profano

che posso cantare

solo, in silenzio,

con pause e risate,

solo fa pena

il morire di un fiore.

 

 

 

 

 

Occhietto piccolino,

eppure tanto grande,

numme pento,

d'avettelo guardato...

seppure poi c'è stato,

chi ha abbassato le serande...

numme pento...

guardo, rido...

...e so' contento.

 

 

 

 

 

 

Dimme, cantore de eterne passioni,

(do' s'annisconne chi s'ennammora),

come consoli nell'acqua l'affanno

de chi li capisce e come...'sti sòni.

'Ntorno a quest'ora

cantano l'onne,

e immentre piano, quarcosa te danno,

che tutto avvorge,

e poi scompare.

Cosi' chi more poi dopo risorge,

...come sortisse dar fonno der mare.

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

Il destino, tuo e mio,

 

è quello di due gabbiani;

 

volano in alto, all'orizzonte,

 

uno a destra, l'altro a sinistra

 

e in mezzo Dio.

 

 

Sanno poi, solo gli arcani:

 

come se fosse una fonte,

 

lo stesso scoglio gli si mostra

 

che fu all'ultimo rinvio

 

delle tue mani.

 

 

Già  uno rivòla al ponte,

 

l'altro rimane in finestra,

 

poi s'arrende, verso l'oblio

 

di chi non gli importa 'domani'

 

che sta di fronte;

 

 

tanto, da destra o sinistra,

 

il destino, tuo e mio,

 

come quello di due gabbiani,

 

rispunterà  all'orizzonte

 

di questa giostra.

 

 

 

 

 

Avanti le promesse fatte 'n cambio d'esse bravo,

 

c'era stato un mondo bello de canzoni,

 

quanno er sole se portava via li giochi

 

e la stanchezza riposava intorno a sogni malandrini.

 

Avanti le promesse fatte 'n cambio d'esse bravo,

 

nun è che se capiva er gusto che te dà  la sòla,

 

tanto s'era preoccupati a divertisse

 

e a pija 'n giro chi s'affanna e poi nun ride,

 

perché  'r massimo lo carcola sortanto

 

dar giorno, in cui c'ha 'r posto dei padroni,

 

e solo allora, che assapora er gusto della sòla,

 

riguardanno ar tempo perso quanno tristo accumulava,

 

t'enventa le promesse fatte 'n cambio d'esse bravo.

 

Così  'mpari quanto costa er sole, i giochi

 

le risate...se così  scantoni er fisco,

 

mò la paghi, 'fantasia', e nun di' che 'n costa gnente...

 

Gentucola arcuata sotto stemmi disossati

 

dall'ebbrezza di poteri,

 

vari, e sempre più  scontati.

 

E' chinato chi si esalta

 

non avendo un proprio io,

 

ammazzando quei pareri

 

che vietavano la svolta.

 

 

    Gentucola vigliacca che ogni tanto sforni un dio

 

e una logica prepari

 

per sfasciarmi quello mio,

 

paradosso neanche umano

 

che, scostante, non può  stare

 

dentro targhe o altri fari;

 

si, lo so che sembra strano,

 

 

 

    gentucola che nuota, buona solo ad affogare

 

dietro vani cantastorie,

 

preparando sette bare

 

per la caccia a brutte streghe,

 

voi, e le vostre tronfie borie

 

che vi stanno tanto care,

 

gentucole seganti, buone solo a scoglionare.

 

 

 

 

 

 

 

                  EISEL

 

 

   Piuma rossa, vela e consola

 

l'occhio, sbarrato, di chi guarda ancora

 

l'assurdo che stanca, che ancora non muore.

 

   Piume rosse, rivoli stanchi,

 

 

gridate nel cielo il dolore indifeso

 

di donne e bambini infilzati e scordati,

 

schiacciati da bestie ubriacate da sangue

 

mischiate alla gente che no, non si arrende,

 

e ancora rincorre un pallone sfuggente

 

a ciò  che non centra...furia omicida