Juan Sebastian Gongora

Historia de un hombre en el desierto

 

                                                                                         

Eppure dev’esserci una fine.

Un limite, anche solo un muro, che circondi questo deserto. Finora il mio sguardo ha conosciuto solo dune, magari qualche roccia, ma per il resto solo sabbia su sabbia, riscaldata dai raggi del sole. Mai una persona, una palma, un animale. Ed io, immerso in questa solitudine, cosa posso fare se non camminare, camminare tutto il giorno, senza fermarmi? Certo, potrei lasciarmi cadere su una di queste piccole montagne di sabbia, chiudere lentamente gli occhi e lasciare che il caldo e il tempo portino via il mio respiro, ma io so che non è questo il mio destino. Non può essere solo questo.

Sono immerso in questo paesaggio, ma la mia mente vola altrove. Fuori.

Da alcuni anni, la notte, diversi sogni affollano la mia mente.

Sogno il mondo all’esterno di questo deserto, e ogni notte lo sogno in modo diverso. Credo sia il non conoscerlo che mi spinge ad immaginarlo diverso. Tutti quando non conosciamo qualcosa, tendiamo ad immaginarlo nelle forme più disparate e varie. Forse è il bisogno di dare un aspetto familiare alle cose estranee che ci circondano. Ma può essere solo questo? Forse è semplicemente la voglia di uscire da questo ripetitivo ed infinito deserto a crearmi queste immagini nel sonno. Finora sono state solo immagini confuse, incomplete e sbiadite dal risveglio. Fino a stanotte.

Ho sognato una città. Non so che nome avesse, né dove si trovasse. Ci si arrivava dal deserto, lo stesso che io conosco da sempre, ma arrivato nelle vicinanze della città, mi sono accorto che non era più lo stesso compagno delle mie interminabili e solitarie camminate. Il deserto non era più inospitale, ma, come se si fosse riempito di vita, sembrava pulsare sotto i miei piedi. Su di esso cresceva dell’erba fresca, e un tappeto di fiori coloratissimi e profumatissimi. Quell’arido manto di sabbia si trasformava in un maestoso giardino fiorito, nel quale alcune persone camminavano pensierose, altre leggevano, altre ancora conversavano. Qua e là fontane e laghetti in cui i bambini si facevano il bagno. Anche l’aria era più fresca, nonostante il sole fosse alto nel cielo e tutto il giardino era immerso in un’atmosfera di benessere e di felicità. Ho attraversato lentamente il giardino, addentrandomi sempre più nella sua vegetazione lussureggiante e, giunto alla fine, mi sono ritrovato ad osservare il centro abitato dalla cima di una duna. Le mura erano alte e massicce, con un unico ingresso in pietra sui cui lati erano scolpiti due leoni alati giganteschi. Gli edifici erano alti e squadrati, costruiti con pietra giallastra. Sembravano molto vicini fra loro, ed erano tutti simili fra loro. Non c’erano edifici che con la loro grandezza imponessero la propria importanza sugli altri, come se l’incredibile benessere di cui godeva quella città fosse distribuito in modo totalmente uniforme. Di là degli edifici, in lontananza, si distinguevano alte le montagne, che si alzavano verso il cielo, come dita di una mano tese ad acchiappare l’infinito.

Ho superato la porta della città, e mi sono ritrovato in una piazza grande e affollatissima. Tutta la città era piena di persone, ma sembrava che il muoversi della folla fosse in qualche modo ordinato, preciso e pulito. Mi sono addentrato nelle strade della città, affascinato dai colori, dai suoni, dagli odori.

Nel deserto l’unico suono che si sente è quello del vento che accarezza le dune, intervallato dal fruscio dei miei passi e dal mio respiro affannato dal caldo e dal tanto camminare. Nella città invece c’erano tante voci, tanti suoni, suoni di passi, di commercio. Suoni di vita.

All’improvviso, in mezzo alla folla ho visto la ragazza. Era una ragazza come tante, ma io ero sicuro di averla già vista. Mi sono detto che non era possibile, non ero mai stato lì prima d’allora. Ma più guardavo il suo viso, i suoi capelli castano scuro leggermente striati di rosso, come se il sole al tramonto avesse cercato di aggrapparsi a quelle dolci ciocche e avesse lasciato morbide impronte delle proprie dita, più guardavo il modo in cui essi le scendevano sul suo vestito verde, i suoi occhi castano chiaro che sembrava si fossero tinti del colore della sabbia a furia di guardare il deserto, più mi convincevo; era come se la conoscessi da sempre. Mentre la osservavo, lei si è girata verso di me e, guardandomi negli occhi, mi ha detto: “E’ da tanto che ti aspetto, da sempre sapevo che tu un giorno saresti arrivato.” Detto questo, è sparita in mezzo alla folla. Ho iniziato a seguirla, ma se davanti a lei la folla si apriva, davanti a me trovavo un’impenetrabile muraglia di persone che ostacolavano il mio cammino. Ho visto la ragazza allontanarsi, farsi sempre più piccola e sparire, lasciandomi in bocca il sapore amaro delle occasioni perdute. Mentre camminavo lentamente, guidato dall’andare lento e inesorabile della folla, l’unico pensiero che affollava la mia mente era l’immagine della ragazza. Chi era? Come faceva a conoscermi? L’avrei rivista? E se l’avessi rivista, cosa le avrei detto? Ero certo che se l’avessi rivista, non l’avrei fatta andare via senza averle rivolto la parola. Ma come avrei fatto? Cosa le avrei detto? Sarei stato capace di esprimerle tutto quello che provavo? Dalla strada cominciò a levarsi la nebbia, che diventava più fitta quanto più intrecciati erano i miei pensieri, finché tutti gli edifici ne furono coperti, le persone sparirono, e io mi ritrovai di nuovo solo.

Non c’erano più i rumori della folla, non c’erano più gli odori della città. C’era solo il silenzio. Cominciai a camminare, come faccio sempre, tenendo le mani avanti per non finire contro qualche persona o contro qualche muro, ma più camminavo, e meno fresca si faceva l’aria. La nebbia cominciò a perdere consistenza, e alla fine si diradò completamente scoprendo il paesaggio che nascondeva. Ma al posto degli edifici della città ho trovato i familiari contorni delle dune, e al posto della folla di persone ho trovato la solitudine aspra e arida del deserto. Mi sono seduto sulla sabbia e, deciso a mettere ordine nei miei pensieri, ho iniziato a scrivere queste righe.

Non so se questo momento appartenga ancora al mio sogno, o no. Non so se la vita che sto vivendo sia solo un’illusione, o solo ora io abbia cominciato a vivere veramente. Mi guardo intorno e vedo solo il deserto, compagno amorfo e silenzioso della mia vita, e ripenso al mio sogno. Devo tornare in quella città, devo rincontrare quella ragazza, devo chiederle chi è, che città è quella ma soprattutto devo chiederle chi sono io. Adesso chiuderò gli occhi, e pensando al colore dei capelli della mia ragazza, mi lascerò portare dal vento dolcemente, in alto, lontano da questo deserto, lontano da questo mio essere solo, verso l’unico posto in cui posso dire di essere veramente vivo, fra le sue braccia…

 

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La carovana avanzava da settimane in mezzo al deserto. Trasportavano il sale dalla costa ai paesi dell’entroterra. Si snodava lentamente in mezzo alle dune, apparentemente senza una direzione, ma con una meta ben precisa: la loro casa.

Quando lo videro, gli uomini della carovana lo credettero morto, ma quando si avvicinarono, si accorsero che stava dormendo. Era un uomo di circa trent’anni, di carnagione chiara, sdraiato sulla sabbia rovente. Nonostante fosse vestito come loro, l’uomo sembrava uno straniero venuto da lontano con i suoi occhi verdi e la sua carnagione chiara. Lo caricarono su una portantina e gli bagnarono le labbra, ma lo sconosciuto non si mosse e seguitò a dormire.

L’indomani raggiunsero la città ai limiti del deserto, attraversarono i bellissimi giardini fioriti e abbeverarono i cammelli. Attraversarono poi la grande porta dei due leoni alati e si ritrovarono nella piazza del mercato, affollata come sempre.

Prepararono i banchi per vendere il sale e presi com’erano dall’euforia del commercio, lasciarono dormendo sotto una palma lo straniero trovato nel deserto. Così, nessuno era presente nel momento in cui si svegliò. Ancora steso si guardò intorno e quando riconobbe il posto in cui si trovava, un ampio sorriso gli illuminò il viso. Si alzò dalla portantina e cominciò a camminare per le vie della città. Nessuno lo aveva mai visto, ma lui camminava con il passo deciso di chi conosce il posto in cui si trova. Si mescolò alla folla e nessuno lo vide mai più.

Quando i carovanieri si accorsero della sua scomparsa si chiesero a vicenda se lo avevano visto. Uno di loro rispose che poche ore prima un uomo si era diretto fuori delle mura cittadine in direzione delle montagne, tenendo per mano una donna dai capelli castani scuri, leggermente striati di rosso, che le ricadevano sul vestito verde che indossava…  

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endo. Era un uomo di circa trent’anni, di carnagione chiara, sdraiato sulla sabbia rovente. Nonostante fosse vestito come loro, l’uomo sembrava uno straniero venuto da lontano con i suoi occhi verdi e la sua carnagione chiara. Lo caricarono su una portantina e gli bagnarono le labbra, ma lo sconosciuto non si mosse e seguitò a dormire.

L’indomani raggiunsero la città ai limiti del deserto, attraversarono i bellissimi giardini fioriti e abbeverarono i cammelli. Attraversarono poi la grande porta dei due leoni alati e si ritrovarono nella piazza del mercato, affollata come sempre.

Prepararono i banchi per vendere il sale e presi com’erano dall’euforia del commercio, lasciarono dormendo sotto una palma lo straniero trovato nel deserto. Così, nessuno era presente nel momento in cui si svegliò. Ancora steso si guardò intorno e quando riconobbe il posto in cui si trovava, un ampio sorriso gli illuminò il viso. Si alzò dalla portantina e cominciò a camminare per le vie della città. Nessuno lo aveva mai visto, ma lui camminava con il passo deciso di chi conosce il posto in cui si trova. Si mescolò alla folla e nessuno lo vide mai più.

Quando i carovanieri si accorsero della sua scomparsa si chiesero a vicenda se lo avevano visto. Uno di loro rispose che poche ore prima un uomo si era diretto fuori delle mura cittadine in direzione delle montagne, tenendo per mano una donna dai capelli castani scuri, leggermente striati di rosso, che le ricadevano sul vestito verde che indossava…  

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