Giulia Zanata

le sue poesie

OHIBO' COCORICO' La fata Ciliegina e la buona gente.

 

La fata Ciliegina e la buona gente.

Carissimi amici che mi ascoltate. Ma lo sapete che durante la notte e anche durante il giorno, quando non ci pensate neppure, vivono intorno a voi degli esseri invisibili: li chiameremo buona gente e fate.

Di una fata e del suo popolo della buona  gente vi voglio raccontare.

La fata si chiama ciliegina, eh si, perché è nata sotto un albero di ciliegio e la buona gente sono gli abitanti di quell’albero e della campagna che vi sta intorno, alberi d’ulivo, cespugli di more, di lavanda, roseti ed anche cavoli, insalata ed erba di ogni tipo. Insomma questo popolo della buona gente è veramente piccolino per abitare sotto una foglia di fico,  in un cespuglio di more o sotto la corolla di una margherita, ma molto attento a tutto ciò che succede all’intorno.

La fata ciliegina è la loro fata buona, perché dovete sapere che ogni popolo della buona gente ha una fata buona.

C’è la fata azzurrina, la fata giallina, la fata rossetta, e la fata verdina…. Hanno tutte un vestito vaporoso e colorato…

Ma oggi parliamo della fata ciliegina e del popolo della buona gente.

Quella sera si sentiva tutto un bisbigliare fra il popolo della buona gente. Si raccontava che nel paese vicino

due famiglie  si erano litigate per un metro di terra. Avevano gli orti vicini e quando il signor Totò decise che le sue insalate non dovevano essere calpestate o sporcata dal gatto del suo vicino, signor Fofò, e mise una rete divisoria, successe il finimondo. Dalla casa di Fofò uscirono la moglie, il figlio e la figlia ed anche il cane Ringhia tutti a dar manforte a Fofò, che diceva che la rete divisoria gli aveva portato via un metro del suo terreno. Il gatto Bottone, responsabile di tutto ciò, si era nascosto nella stufa e faceva finta di dormire, ma Ringhia abbaiava così forte che dalla casa di Totò uscirono tutti: lui, sua moglie, i suoi tre figli e il loro cane che si chiama Tigre e tutti a urlare ed abbaiare in difesa di Toto’.

Litigarono talmente tanto che si fece buio e nessuno pensava ad andare in casa a preparare la cena: preferivano litigare per un metro di terra. “E’ mio” diceva Totò ed io non sposto la rete” – “No è mio” diceva Fofò ed io ti taglio la rete e già aveva in mano delle lunghe cesoie che il figlio gli aveva portato.

Intorno, nell’aria ormai scura,  vagavano le prime lucciole, ma erano un po’ intimorite da tutto quel baccano.

A un certo punto si sentì un “Stssssssssssst prolungato. Tutti si zittirono, perché il suono era veramente strano. Si udirono poi delle sottili risate che venivano da ogni dove, ma tra il buio, le lucciole  e la paura nessuno si capacitava da dove arrivassero quei suoni, frammisti a voci sottili.

Poi una voce parlò e disse forte e chiaro: “Sono la fata ciliegina e veramente siamo stufi, noi popolo della buona gente e popolo delle fate a sentirvi litigare da così tante ore. Se non la fate finita questa notte chiamo il popolo delle cavallette e in un battibaleno il vostro orto domani non ci sarà più”.

Totò si era fatto pallido da quell’intrusione inaspettata e Fofò, dalla sorpresa ed anche dalla paura, si era lasciato cadere dalle mani la forbice che fino ad allora aveva brandito minacciosamente. Nessuno parlava, abbaiava o urlava più.

Si sentì una risatina argentina  e prolungata “Ahhhh, ahhhh, ahhhh”

“Non è finita” disse la fata ciliegina e nell’aria si vide un strano bagliore rosso, mentre una lucciola passava di li…

“Non è finita” continuò “oltre a smettere di litigare ognuno di voi dovrà imparare a suonare uno strumento: il piffero, la tromba, il violino, la viola, la cetra, il contrabbasso, il clarinetto e così via, uno strumento per ogni componente la famiglia,  per capirci.

Quando lo avrete imparato, ma bene eh?!, dovrete riunirvi tutti insieme e formare una bella orchestrina.

Fra un anno, a partire da oggi,  dovrete esibirvi qui, sul prato vicino a casa,  e tutti noi saremo ad ascoltarvi.

Quella vocina così categorica e sicura che veniva dal buio non lasciava via di scampo e tutti erano rimasti allibiti, e senza parole.

In cuor loro sapevano, si sapevano dell’esistenza delle fate e del popolo della buona gente e sapevano anche che gli conveniva ubbidire, altrimenti un sacco di guai sarebbero accaduti loro.

In silenzio andarono tutti a letto senza cena, perché ormai si era fatto tardi, ma tra la rabbia non ancora sbollita e lo sgomento, il loro ultimo pensiero fu quale strumento avrebbero potuto scegliere e dove lo avrebbero potuto trovare e imparare a suonare.

Le lucciole fuori dalle case, nell’orto e nel prato vicino continuavano a danzare nel buio e la fata ciliegina e il popolo della buona gente, sorridendo, si sussurrarono la buona notte. 

 

 

 

 

 

 

 
Era un paese proprio carino. Le montagne scendevano verso il mare, lasciando spazio a orti e giardini dove si coltivavano fiori e alberi da frutta di ogni tipo, colore e profumo...
Le case sparse all'intorno erano basse: sembravano fatte di fette di torta.
Lungo la spiaggia invece si snodavano due file di case caratteristiche, di varie, tenui colorazioni, costruite chissà quando.
Chi diceva nel 1600, chi nel 1700.
 E la strada che si dipanava in mezzo si chiamava: carrugio.  
C'erano i rumori del treno lontano, delle poche auto che passavano laggiù nella grande strada. Si udiva il vociare dei bambini della vicina scuola, della gente che oziava nel carrugio e il richiamo del mare.
Si, specie la notte, il mare ti teneva compagnia col suo canto giocherellone di onde grandi o meno grandi che si rincorrevano all'infinito o, quando era calmo, con il suo affettuoso interminabile respiro.
In una di queste vecchie case del carrugio viveva una vecchina dai capelli turchini che aveva una vecchia volpe che le teneva compagnia.
Di solito le volpi si trovano nei boschi, ma questa, di nome Romilda, preferiva vivere in mezzo alla gente.
Se ne stava sempre acquattata sotto il letto o sul balcone e, buona, buona faceva ciò che diceva la sua padroncina, la vecchina dai capelli turchini, che due volte al giorno le dava da mangiare e la portava a spasso per correre e fare i bisognini.
La vecchina possedeva un vecchio telaio sul quale trascorreva le ore.
In un'antica madia, dove un tempo sua madre e sua nonna facevano il pane e ve lo conservavano, Palmira, questo è il nome della vecchina, ora vi teneva filati di ogni spessore e colore, di seta, di lana, cotone, rafia, viscosa...
Seduta a quel telaio con gli occhialini sul naso e le braccine tese, tesseva, tesseva...
Al di là del telaio c'era un grosso rotolo: era tutto il lavoro che aveva  fatto fino a quel giorno. Tappeti e tappeti tutti uniti fra loro. Li divideva una riga rossa di seta.
Ma quali disegni raffigurava la vecchina dai capelli turchini su quei tappeti?
Non ve lo vorrei dire per non spaventarvi, ma sono costretta a dirlo,  perchè altrimenti come finirebbe la storia?
Palmira, la cara vecchina, tesseva su quei tappeti le facce di tutti i lestofanti del paese.
Chi sono i lestofanti?
Ma i cattivi, i profittatori, gli sfruttatori dei deboli e degli indifesi, insomma per essere più chiara, i ladri, gli opportunisti, gli omertosi, gli imbroglioni.
Nel paese la vecchina Palmira era conosciuta e amata dai più, ma tutti si chiedevano come trascorresse le ore quando se ne stava all'ultimo piano di quella casa dal balconcino fiorito di rossi geranei.
 Pensavano che ormai fosse troppo stanca per lavorare e si mormorava che leggesse, leggesse...
 Mentre invece Palmira tesseva, tesseva e il tappeto diventava sempre più lungo...
Romilda, mentre la sua padroncina lavorava al telaio, la guardava con i suoi occhioni dolci e sembrava dirle: "Ma quando lo finisci questo tappeto....?"
Palmira, leggendole negli occhi, un giorno le disse: "Presto, presto... poi partiremo per un bel viaggio.., sei contenta?"
Passarono alcuni mesi e venne la primavera.
 Palmira, un giorno, mentre portava a passeggio la sua volpe, incontrò u sciù Toni (il signor Toni), un suo amico d'infanzia, che ora era vecchino come lei e gli disse: "Questa sera mi devi venire ad aiutare...ti aspetto a mezzanotte!"
"A mezzanotte? Ma non è troppo tardi?"
"Tu vieni, poi ti spiegherò" e la vecchina Palmira lasciò Toni di stucco mentre lei svicolava in un carrugetto.
Doveva o non doveva far fare i bisognini alla sua cagnolina?
Venne mezzanotte e Toni si presentò alla porta della vecchina.
"Ecco" disse lei "Mi devi aiutare a portar giù dalle scale questo tappeto"
Toni che conosceva il carattere della sua vecchia amica non fiatò e si caricò sulle spalle il rotolone del tappeto. Lei lo reggeva da dietro e gli diceva ad ogni gradino "Attento, Attento..."
Quando finalmente  furono nel caruggio, a quell'ora ormai deserto, Palmira disse: "Ora lo srotoliamo..."
Il vecchio Toni fu stupito di vedere quanto lavoro aveva fatto la sua vecchia amica, ma rimase a bocca aperta quando vide tessute nell'ordito di quel lunghissimo tappeto le facce di tutti i cattivi del paese.
E Palmira vi aveva anche  tessuto a grandi lettere queste tre parole: "INDOVINATE CHI SONO?"
Toni se la rideva sotto i bianchi baffi e dopo un po' chiese a Palmira: "Posso accompagnarti nel tuo viaggio? Finalmente ora parti o no?"
"Certamente" rispose Palmira, la vecchina dai capelli turchini e aggiunse, sorridendo sotto gli occhialini: "Così ci daremo il cambio alla guida !"
 
Giulia Zanata
 

 

 

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