Vittorio
Cangiano
le
sue poesie....
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 Ne sono legato da un doppio filo...desiderandola; desidero i suoi suoni...dipendo da lei come da una droga...incantevole droga per viaggiare e sognare di una ragazza dai lunghi capelli, dolce e capricciosa, figlia e madre al tempo stesso...una donna dalla carne bianca, fresca, profumata…passione viva, violenta, dolce, istintiva, folle, senza regole. Una donna curiosa, ingenua, determinata, un gatto che fa le fusa e un cigno dorato, voglia insaziabile di piacere...come un dolce, ripieno alla crema di cioccolato, denso, caldo, che scorre...per essere leccato...con le mani tra i capelli, che stringe, tutto stringe e si contrae, spasmodicamente. Si inarca per poi ricadere, lento, morbido...di un calore che cresce e umido si mischia. Cresce , di passione furiosa cresce, senza controllo e ne vuole di più, sempre di più...istinto di scacciata ragione che non trova posto e non ne merita...antidoto di un veleno troppo piacevole per non desiderarne morire, e morire ancora...morire sempre, all'infinito, per tutta la vita....attimi di morte brevi e intensi come l'eruzione di un vulcano che esplode...la lava incandescente che scorre, rovente...sulla pelle che ne chiede ancora...morte sublime, si avvicina incalzante...e sai di volerla, sempre di più, più forte, più forte, più veloce...fino a...fino a dentro...dentro il ventre, contratto, sussulta e senza controllo ricade e si rilascia pieno di beato sorriso nel preciso istante in cui i sensi non esistono distinti e si racchiudono in un unico forte, incontenibile...orgasmo. 
 
 
 
 
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 Qui il sole si avvia a 
		fare la sua pallida, timida comparsa. Tutto comincia a risvegliarsi  su due mensole.  Il letto, ve lo lascio
        immaginare.  Coro è ancora a letto. Si
        passa le mani sul viso e scende giù, fino al ventre. Osserva il suo
        corpo abbronzato dal sole. Bagnato di sudore. I raggi di sole illuminano la
        stanza. Alza un braccio lentamente, con il polso molle e le dita
        dormienti. Raggiunge uno dei raggi che colpiva la parete sporca e
        stonacata. Ora il raggio non colpisce più la parete ; è fermo,
        imprigionato nel palmo della sua mano destra. Coro assorbe ;
        assorbe la luce, il calore, l’energia del sole. Per caricarsi. Per
        alzarsi da quel lurido letto sudato. Capitano volte in cui rimane a
        letto per tutta la giornata, fino a che... Finalmente una gamba decide di
        avvicinarsi al bordo del letto cercando il pavimento. Un pavimento di
        legno...marcio. Anche l’altra decide di seguire ed entrambe lo
        incontrano. Tutti conoscono Coro. Ecco. È in piedi. Con i piedi
        nudi su tavole di legno di un pavimento di legno marcio. Si avvicina a
        un frigo di trent’anni fa, accanto alla cucina da campeggio posta su
        di un mobile con due mensole : una casa su due mensole. Sul frigo
        c’è una vecchia radio. L’accende ; con i piedi nudi
        l’accende. Senza vestiti l’accende. Toccandosi con una mano il basso
        ventre, l’accende. Alla radio, disturbata come
        sempre, trasmettono il solito programma di ginnastica aerobica. Coro lo
        ignora. Ma non cambia stazione. Con forza apre lo sportello di pesante
        ferro arrugginito e pesca una bottiglia di succo d’arancia, una fetta
        di torta alla banana e una bustina di plastica aperta, forse da
        settimane, di salatissimi arachidi. Si siede e mangia. Una mosca ronza
        intorno al bicchiere di vino, al bicchiere sporco ; si posa sul
        bordo e comincia a succhiare. Forse il rossetto. Una briciola di torta, dalle
        labbra di Coro cade sul tavolo. La mosca adesso succhia la briciola.
        Coro, con il culo nudo sulla sedia, incrocia le gambe : le
        accavalla. La osserva. Il sole colpisce il tavolo con
        piccoli cerchi luminosi, illuminando la boccetta di profumo, la lama del
        coltello, il bordo del piatto e gli arachidi. In alcuni punti sparsi,
        anche il corpo di Coro è illuminato, riscaldato dai raggi del sole che
        filtrano attraverso le assi marce della stanza. Tutti nel paese
        conoscono Coro. La sua casa non è al centro
        del paese ma più su, in mezzo alla terra, alla polvere, al caldo. La sua casa di legno marcio.  Adesso si alza ; deve
        andare al bagno. Si guarda allo specchio ; si fissa. Fissa i suoi due grandi occhi neri, quelli che servono a sentirsi dire : “ma lo sai che hai gli stessi occhi di tua madre ! ?”. A Coro non è mai piaciuto sentirselo dire. L’acqua dalle mani esplode
        sul viso e dal viso sullo specchio, lasciando gocce di deformi
        trasparenze. Infila una t-shirt aderente e i
        soliti jeans strappati, inforca un paio di occhiali da sole che per caso
        aveva notato sulla prima mensola del mobile-casa, prende una borsa e
        senza guardarsi intorno apre la porta di casa. La porta marcia di una
        casa marcia.  Il sole è alto nel cielo.
        Tutto intorno solo terra arida e polvere. Un piccolo viottolo in discesa
        indica la direzione per il paese. Giù in paese tutti conoscono
        Coro, tutti, ma nessuno mai saluta. Un po’ per pudore, un po’ per
        ignoranza.  Si avvia al supermarket.
        All’entrata c’è un ragazzo alto, magro, con un cappello in testa.
        Si salutano e  scambiano soldi con qualcos’altro. Poi Coro si allontana con aria
        indifferente, con gli occhiali da sole. Entra nel bar li vicino ;
        ordina una birra e va a sedere senza badare a nessuno. Con gli occhiali
        da sole. Sorseggia la birra con una mano sotto la maglietta aderente. Quasi a metà boccale si
        avvicina un uomo anziano con un cappello in testa, poggia entrambe le
        mani sul tavolo e dice : “Ciao. Come stai ?”.  Coro non risponde. “Ma lo sai che hai gli stessi
        occhi di tua madre ! ?”. Coro alza lo sguardo nascosto
        dagli occhiali scuri, accenna un sorriso, si alza e va via lasciando
        l’uomo e il boccale a metà. A Coro non è mai piaciuto
        sentirselo dire. Ha sempre odiato somigliare alla madre. Sua madre...la
        puttana. Voule tornarsene a casa ;
        nella casa marcia. Evita di ripassare davanti al
        supermarket, costeggiando la chiesa. Tutti conoscono Coro. Ma nessuno
        mai saluta. Un po’ per pudore, un po’ per ignoranza. Arriva finalmente a casa. Apre
        la porta di legno marcio, si dirige al tavolo di legno marcio poggiando
        la borsa sulla busta di plastica. Lega con un elastico i suoi lunghi
        capelli neri. Apre la borsa con agitazione, prende.....poi dal tavolo
        prende il cucchiaino, prepara e finalmente si buca. Adesso, con più calma di
        prima, si alza verso il cesso, tira giù la lampo, lo tira fuori e
        piscia socchiudendo gli occhi.  Si guarda intorno ; non
        trova nulla da fare...solo il letto. Capitano volte in cui rimane a
        letto, in quel lurido letto sudato, per tutta la giornata fino a
        che…passerà lo sballo. Tutti conoscono Coro.   
  La festa era al primo
        piano. Karl e Jim parcheggiarono giù al palazzo. Nuovo. Uno di quelli
        stile anni ’70, sobrio, lineare, pulito. In realtà Jim non era molto
        contento di andarci. Lo faceva più per cortesia che per piacere.
        C’era una ragazza che piaceva a Karl, alla festa. Asia era bruna,
        capelli corti, un bel corpo, forse un po’ incurvata. Non piaceva molto
        a Jim. Karl lo sapeva. Si avviarono su per le scale. C’era altra gente
        per le scale. Tutti andavano alla festa. Uno di questi aveva in testa un
        cappello da marinaio. Si rivolse a Jim. “Anche voi state andando alla
        festa ?”. Jim gli sorrise e fece cenno di si. Quel cappello dava
        alla persona che lo calzava un’aria quasi ridicola, farsesca. Quel
        cappello sarebbe stato uno strumento di svago ed esibizione per chiunque
        lo avesse indossato. Per terra, giusto di fianco allo zerbino, c’erano
        tre buste piene di bottiglie vuote. La festa doveva essere cominciata già
        da un po’. Dall’interno si udiva un miscuglio sordo di musica e
        parole dette ad alta voce, che divenne più forte e chiaro quando
        Valentina aprì la porta. Era già ubriaca. Lanciò le braccia intorno
        al collo di Jim e lo baciò. Jim sorrise di nuovo. La casa era piena di
        gente d’ogni specie, tutti raccolti da un unico comune denominatore :
        alcool e fumo. Karl e Jim si separarono. Jim
        fu attratto dalla musica ad alto volume che proveniva dalla stanza
        adiacente l’ingresso. C’era gente che ballava qua e là. Un ragazzo
        si era improvvisato dj dietro una consolle improvvisata. Gente sparsa.
        Come frammenti di vita che cercano di ricomporsi. Inutilmente. L’unico
        che aveva l’aria di divertirsi sul serio era il dj. Jim si avvicinò
        ad un paio di persone che conosceva. Dopo i convenevoli di rito, gli
        passarono uno spinello. - dov’è Karl. - chiese Bill. - Alla ricerca di Asia. -
        rispose Jim.  - Ah, ma allora il fatto è
        serio ! ? -  - Non so. Credo che non abbiano
        ancora scopato. Forse stasera, se saranno abbastanza ubriachi. - - e tu, che ci racconti di
        bello ? -  - Le solite cose. - Jim si voltò verso sinistra.
        Aveva visto una bella bionda poggiata al muro, con una birra in mano.
        Indossava una di quelle magliettine che lasciano scoperto l’ombelico.
        Fissava quelli che le erano a portata d’occhio ; si soffermava
        qualche secondo, poi faceva un sorso di birra. Jim le andò incontro.
        Aveva sete. Chiese un sorso. Era birra corretta con gin. Molto corretta. - sei un amico di Valentina ?
        -  - si. - - sei arrivato adesso ? -  - si. - - ti chiami Jim, vero ? -  - si. - - io sono Lara. Piacere. - - Vedere il tuo ombelico è
        stato una delle cose più piacevoli di tutta la giornata. - Jim si chinò per osservarlo
        meglio, poggiando le dita sulla pancia. Jim era un amante
        dell’ombelico femminile. Più di tutti preferiva quelli carnosi,
        nascosti verso l’interno, i cui solchetti formano una specie di T. Si
        avvicinò di più. Lo baciò poggiando appena le labbra. Poi si
        ritrasse, prendendo dalle mani di lei la birra corretta al gin. Lara lo
        fissava. Era una ragazza molto prevenuta, abituata per lo più agli
        approcci formali. Non aveva molta esperienza in fatto di uomini.
        L’unico ragazzo che aveva conosciuto anche a letto, se l’era
        trascinato per otto anni. Quando lasciò Robert, credette di aver fatto
        uno sbaglio, di aver preso a calci l’unica base di appoggio sicuro.
        Poi conobbe Valentina, questo circa sei mesi fa. Non tutti quelli che
        conoscevano Valentina, sapevano anche di Lara. Ma Lara sapeva di tutti
        quelli che Valentina conosceva. In quel momento Jim avrebbe voluto
        baciarla, ma forse sapeva che lei, Lara, lo avrebbe respinto. Di parlare
        tanto per farlo, neanche a parlarne. Le ridiede la birra e cominciò a
        girare per la casa. Entrò in una stanza con un enorme tappeto di
        pelliccia. Doveva essere pelle caprina. Alcune bottiglie di whisky
        sparse sul tappeto ne avevano bagnato il pelo. Nell’angolo in fondo a
        sinistra c’erano tre ragazzi e due ragazze. Due si baciavano. Lui le
        teneva una mano sotto la maglia. La muoveva lentamente in maniera da
        stringere prima l’uno poi l’altro seno. Lei teneva entrambe le mani
        fra i suoi capelli. Al centro, una bottiglia di Porto. Ce n’erano
        ancora due dita. La musica arrivava debole. Jim vide Karl. Era seduto,
        con la schiena poggiata al muro. Una gamba piegata e l’altra stesa.
        Stava parlando con Asia. Entrambi erano nella stessa posizione. Quando
        Asia vide Jim, si alzò di scatto per andargli incontro. Anche Jim andò
        incontro ad Asia. Lei lo baciò sulla guancia, gli prese le mani e lo
        portò da Karl. Aveva piegato anche l’altra gamba. Asia fece uno
        spinello. - dov’eri ? - chiese
        Karl. - in giro. -   Cominciarono
        a chiacchierare della festa e poi della gente che c’era. Poi della
        gente in genere, infine del lavoro di Asia. Jim non aveva molta voglia
        di parlare. Diceva qualcosa ogni tanto, per educazione. Karl quella sera
        aveva intenzione di fare l’amore con Asia. Jim disse che avrebbe fatto
        un giro. Passò per il corridoio, dove era sistemato un divano.  - Sei tu Jim ? -  - Si. - - Ci siamo conosciuti l’altra
        sera al Cafexe. Ti ricordi ? Ero insieme con Asia e Valentina. Ti
        chiami Jim tu ? -  - si, sono Jim e tu sei... -  - Marika, mi chiamo Marika. - - ciao Marika. - sedendo sul
        divano  - Si, mi ricordo ;
        avevi gli occhiali. - - bravo, e tu un pantalone di
        pelle. -  Marika era veramente un bel
        tocco di femmina e anche se Jim non se ne fosse ricordato, avrebbe
        senz’altro mentito. - Valentina mi parla spesso di
        te. Mi dice sempre che tu sei uno di quelli da cui c’è qualcosa da
        imparare. Mi parla sempre di te. - Marika era visibilmente
        attratta da Jim. Durante il periodo che stette da Valentina ebbe modo di
        farsene un’idea. Dalle foto, da qualche abito lasciato lì, maglie,
        jeans, mutande. Dalle poesie. Aveva lasciato anche un paio delle sue
        poesie. Le aveva dimenticate. Aveva dimenticato molte cose da Valentina.
        Aveva dimenticato anche le sigarette. Marika non fumava. Jim si alzò
        per prenderne una da Karl. Rientrò nella stanza dal pelo bagnato. Asia
        e Karl non c’erano più. Vide Lara avvicinarsi. - Karl e Asia sono andati a
        casa di Valentina. Hanno preso l’auto. Mi sa che sei rimasto a piedi.
        - - E Valentina ? -  - Tornerà con me. A proposito,
        questa è tua.-  Tirò fuori della borsetta di
        pelle marrone una busta da lettere chiusa. Per Jim.  - Di chi è ? -  - Da parte mia. - e andò via,
        fuori dalla stanza col pelo bagnato. Jim la infilò in tasca. Poi
        ricordò di essere ancora alla ricerca della sigaretta. La chiese a uno
        dei cinque seduti nell’angolo. I due che si stavano baciando smisero.
        Le aveva lei. Prima di prendere il pacchetto, mise a posto il reggiseno.
        Si fece aiutare ad allacciarlo. Sistemò la maglia e porse, con un
        grande sorriso, la sigaretta a Jim. Lui, quello che la baciava, si
        riaccostò per riprendere da dove aveva interrotto. Ma lei voleva
        fumare. Prese un’altra sigaretta dal pacchetto. Fece un sorso di Porto
        e accese. Marika era ancora sul divano. - Sono rimasto senza macchina.
        - - Puoi tornare con me. Ti va’
        di andare via adesso ? - - OK -  La festa non era ancora finita,
        ma Jim era contento di andarsene. Fuori la porta vide il cappello da
        marinaio. Era per terra, vicino le buste piene di bottiglie vuote. Lo
        prese. Voleva portarselo a casa. In macchina con Marika ricordò di
        essere ancora senza sigarette. Si fermarono da un tabaccaio. Scese
        dall’auto. Le comprò. Rientrò in macchina. Ne accese una. Arrivarono
        sotto casa. La festa era finita. Jim la stava salutando. Non aveva molta
        voglia di parlare. Ma le labbra di Marika volevano quelle di Jim. Aprì
        la bocca e gl’infilò la lingua. Un bacio molto caldo e prolungato.
        Non una parola. Chiusero l’auto. Marika salì da Jim. Si baciarono di
        nuovo. Le premeva il bacino contro, in piedi, sotto la porta. Jim le
        sbottonò la camicia. Marika la cintura. Continuarono a baciarsi. La
        porta si aprì. Marika voleva andare prima in bagno. La sua camicia era
        nell’ingresso, sul telefono. Jim andò in cucina a prendere da bere.
        Aveva dimenticato il cappello in macchina. Dalla mensola prese una
        bottiglia di buon vino rosso. Uno dei suoi preferiti. Aveva di nuovo
        voglia di fumare. Fece per prendere le sigarette dalla tasca, e tirò
        fuori quella busta. L’aprì. Erano le sue poesie.   
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