Antonio B.

 

 

Come d’inverno

 

Se volessi dare,

come si fa ad un profumo,

un nome alle mie notti

le chiamerei

"come d'inverno".

Come d'inverno

nelle mie notti

lo sguardo sembra

più corto,

saranno gli occhi

velati dal freddo,

sarà forse la nebbia,

e come d'inverno

non riesco a

respirare profondo

perché se lo faccio

la gola si stringe

per respingere il freddo,

e nelle mie notti

proprio come succede

d'inverno

gli animali più miti

si ritirano presto

e lasciano il campo

alle bestie più dure

a morire,

ai cani rognosi

ai topi di fogna

e ai lupi,

appunto.

Sono stato molte volte

d'inverno di notte

in rifugi ventosi

in mezzo alla neve,

impossibile uscire

il freddo ti mangia

non c'è niente da fare

là fuori,

bisogna sedersi

e aspettare la fine.

Nelle mie notti

si sente il profumo

del tempo,

pesante,

ammuffito,

denso,

si sente il sapore

della vita,

unta,

grassa,

un po’ stantia,

come un maiale allo spiedo

buonissimo ieri.

 

 

 

Soffio

 

Spaventata e sicura,

intrepida e fragile,

cacciatrice di sogni

possibili,

già infranta,

già ferita,

già delusa,

già intrisa

di sangue,

già ruvida pelle,

ancora bambina,

corri veloce

verso il traguardo,

il primo così grande.

E quando allora

ti sembrerà

di essere sola

e indifesa,

in balìa di forze

più vecchie di te,

non tremare

piccola mia,

non avere paura.

Anche di polvere e buio

ci nutriamo,

non si scappa.

Allunga solo una mano

e mi troverai sempre lì

vicino, ad un passo,

a sospingerti piano

col mio soffio.

un po’ folle,

d’Amore.

 

Mistero      

               

Ho scoperto da poco

il segreto del mondo

e di tutta una vita,la mia.

Ho capito,alla fine,

il disegno grandioso

l’infinita bellezza

il senso del gioco

le regole della partita.

Non capivo il perché

di un così grande regalo,

dei miei giorni trovati

ad ogni risveglio,

delle mille emozioni vissute,

di quei grandi dolori

appoggiati sul cuore,

del respiro che manca

di notte la paura del buio,

del mare che urla,

del vento che porta clamori lontani.

Un attimo solo è bastato

un pugnale nel petto,

…no,…non ancora,…non ora.

Il grande mondo avvolto da un velo

una tristezza infinita

ancora un giorno,ti prego,

fra tutti questi piccoli eroi.

e la magia che si svela

il segreto del mondo e di tutta una vita

sei tu.

 

 

 

 

 

 

 

Il tre alberi austero e solenne

solcava il mare agitato e composto.

Navigava di bolina,

naturalmente,

e le onde, a intervalli regolari,

lucidavano gli oblò sulla fiancata di dritta.

Il legno antico,

gli ottoni anneriti,

le drizze intrecciate di canapa irta,

e, ben ancorate sul ponte,

le botti di vino, di sarde, di acqua di fonte.

E sotto coperta un mondo confuso

di libri, di carte,

di diari di bordo infiniti,

di profumi di bosco

e di sapori misteriosi,

di piccoli oggetti senza casa,

di abiti smessi,

di musica,

di fotogrammi di vita,

di una vita tesa,

spettacolare e tremenda.

Il libeccio teso, regolare, confortante,

lo teneva all’erta, le vele gonfie,

l’animo terso.

Inutile dire

nessun equipaggio.

Inutile dire

nessuna destinazione precisa.

Navigare e basta.

Controvento, di bolina appunto.

Cambiare rotta quando cambia il vento,

e sfidarlo,

respinto e sospinto allo stesso tempo.

Che lotta grandiosa,

che inutile meraviglia!

Sentire le ossa del vecchio vascello

gemere, sempre sul punto

di cedere agli schiaffi del mare,

lo scafo sbandato su un fianco,

assalire le onde,

spezzare la schiuma,

tenere ben saldo il timone

sul ponte spazzato dall’urlo

di Dio.

Mai un dubbio,

mai la tentazione di farsi

portare col vento alle spalle,

viaggiare veloci e tranquilli,

dormire e mangiare

trascinato dalla amica corrente.

Se navighi lì, diceva,

vedrai forse dove ti porta la vita,

ma non saprai mai perché.

Voleva arrivare a guardare negli occhi

il punto preciso che sta all’inizio di tutto,

come una vita vissuta al contrario,

sfibrante, eroica e solitaria.

Un milione di volte missione fallita.

Ormai in vista del luogo dove si compie il destino,

il vento girava, beffardo,

le vele schioccavano incerte

in uno stallo sospeso nel vuoto,

la bonaccia era un attimo

giusto il tempo di affilare lo sguardo,

e poi andare,

ruotare la barra,

verso la nuova sfida.

Era un giorno come tanti, quel giorno,

era grecale stavolta,

la prua puntava dritta a nord-est.

Il grecale è un vento antico,

porta con sé i misteri delle steppe siberiane,

le meraviglie di san Pietroburgo,

il profumo delle spiagge d’ambra del mare del Nord,

spazza cattivo i Balcani,

le aride grotte del Carso,

e si abbatte crudo di ghiaccio,

sui mari del sud.

Un vento perfetto.

Correva veloce

lo scafo di legno annerito,

sul ponte le rughe profonde di mille battaglie,

e lui saldamente al suo posto,

ossute le mani al timone,

scalzo sulle fradice assi,

guardava l’antico grecale con le fessure degli occhi

immobili all’orizzonte.

Fissava di nuovo,

ancora,

la vita,

là dove nasceva,

e la andava a cercare,

col desiderio profondo nel cuore,

di chi sa che solo questo può fare.

Fu come uno sparo nel buio

in una silenziosa notte d’inverno,

il vento impetuoso, assordante,

profumato di ambra e di neve,

frustava incessante la nave,

la sfida era lì, era adesso,

andiamo, dai, che stavolta arriviamo…

fu come uno sparo nel buio,

improvviso e accecante,

i suoi occhi, fessure,

a cercare il varco nel fuoco della tempesta,

videro (sentirono)

quello che mai e poi mai

avrebbero immaginato.

Proprio lì, sul mare,

alto e potente,

così vicino da poterlo toccare,

così reale da sentirne l’odore,

invalicabile un muro.

Una parete compatta, verticale e infinita di….

niente, sembrava,

forse di fango ma più dura,

forse di sterco ma più nera

non erano scogli, li avrebbe …capiti

era forse carne animale melmosa

tritata e compatta, mischiata a parole e menzogne

erano forse

tutti i peccatori del mondo

vivi, ammassati, abbracciati,

incollati fra loro con grasso suino,

si, forse era proprio così,

se ne sentiva il fetore.

Uno: non toccare.

Virò così bruscamente

che temette di spezzare

a metà la sua nave.

Due: ora che fare?

Era finita, chiaro come il vento.

Ammainare le vele,

legarle bene strette che non prendessero vento

mai più,

lentamente lo scafo ruotò su se stesso,

a sud-ovest la prua,

o dove voleva,

e con un dondolio sommesso e noioso

cullato dalla corrente,

il vecchio vascello,

ormai un relitto, intristito ciarpame,

intraprese il suo viaggio verso la fine.

Della vita, intendo.

Il lungo, avventuroso viaggio

verso i perché era

finito.

Lui si sedette,

per la prima volta da sempre,

e, come potete immaginare,

si sentì un po’ stanco.

Guardò le botti di vino

di sarde e di acqua di fonte e

distrattamente calcolò,

per la prima volta da sempre,

per quanto tempo ne avesse.

Non che fosse importante,

tanto aveva già capito

di non avere più nulla

da fare.

 

 

 

 

 

 

 

L’attore

 

Attore buffone,

giullare di un re

che non c’è.

Saltimbanco da

strada,

improbabile Otello,

Cleopatra,Mimì.

Replicante sdrucito

di scene da secoli

in onda.

Con i trucchi

Più adatti alle trame,

coi vestiti di scena

più giusti,

ho recitato

per tutta una vita

il mio ruolo.

Ero un uomo

spavaldo,

intrepido e ardente,

fiero e sbagliato,

solitario

vagavo la vita

ondeggiando,

la schiena diritta,

le mani serrate,

pochi sorrisi

struggenti,

e pensieri

e passione

e tempesta

nel cuore.

Una lunga commedia

sulle assi sconnesse

del palco;

le tragedie,gli amori,

le scelte,i dilemmi,

le gioie.

E con me

milioni di attori

e di attrici

anche loro impegnati

a curare in tutti

I dettagli,

battute,sospiri,

le pause,

i dialoghi fitti

senza sbagliare

un riga,

le notti passate

a parlare del mondo

o di Dio,

e i pensieri d’amore,

o le spade sguainate

a fendere l’aria,

l’onore,

gli ideali,

le battaglie,

i morti,

il sangue.

In fondo era bello

svegliarsi

lavarsi

e vestirsi

coprirsi di trucco

e ingannare

la vita.

Ogni giorno

una nuova

puntata,

sperando di avere ancora

domani

la parte.

Domani è arrivato

per me

ma mi hanno rubato

la sacca,

la mia vecchia sacca

di cuoio

con dentro gli arnesi

di scena,

e i copioni.

Nudo e fragile

provo a recitare

a memoria

…….

intrepido e ardente

……..

e passione

…..

nel cuore.

Ma mi sento

sbagliato,

mi sento indifeso,

deriso,indecente

nella mia nudità,

senza spada

né onore.

Gli attori lassù

intrecciano ancora

le dita fra loro,

si lanciano sguardi e parole.

Ogni tanto qualcuno

scompare alla vista

e dietro i sipari

si sentono risa

e sospiri;

è la vita che corre,

bisogna godere,

finché si può.

La mia parte

era bella,

gridavo furente,

le mani serrate,

“sbagliate! sbagliate! smettete!”

Lo spazio era angusto

la folla sudata incalzava

eccitata,

tenevo per mano

la mia temeraria

eroina,

ed ero fiero

di me.

Ora che mi hanno

rubato l’onore

e la spada,

che la folla ha

inghiottito

anche lei,

mi sento perduto.

Inutile inghippo,

una voce stonata,

soldato caduto

con la faccia nel fango.

Sconfitto li guardo,

affannarsi volgari

nei loro vestiti

di scena

recitare i copioni

assegnati,

poi la vedo

in un lato del palco

aggiustarsi un ciocca

e lanciarsi

in un ballo

sfrenato

con un cavaliere

agghindato a parata,

e li seguo

scivolare in quinta

leggeri.

Non posso fermarli,

non recito più,

non esisto nemmeno,

fragile e nudo

sfinito,assorbito

dal buio,

mi resta soltanto

amarla lontano

e occuparmi

di me.

 

 

              

 

 

 

Musica     

                                  

E’ vero,c’è musica in me

come faccio a spiegare…

guardate un bambino raggiante

che ottiene il permesso agognato

di tuffarsi nel mare,

la corsa scomposta verso

il ventre del mondo,

la sabbia che vola dai piedi rapaci,

le braccia levate in trionfo,

acute le urla di gioia,

la madre lo guarda apprensiva,

conosce o intuisce

la voragine immensa,

poi il contatto improvviso

l’impatto è uno schiaffo brutale,

respinge,ferisce,

in quell’attimo di sospensione

con gli occhi sbarrati

è l’istinto animale

che trova ogni volta la via.

La corsa sfrenata è finita

il bambino adesso in silenzio

si è messo a saltare mentre

ascolta il ruggito profondo.

E c’è un solo modo di entrare

senza farsi inghiottire,

è armonia, lui sente che il mare

lo ha invitato a

danzare.

 

NEBBIA

 

Pensavo rapito all’infanzia .

Sentivo le voci , i suoni ,

i sapori di cose

perdute nel tempo .

Ricordo l’estate rovente

sul bordo della ferrovia ,

sentivo arrivare lontano

quel mostro che urlava

indecente di forza

e i compagni di gioco

scappare ,

il terrore nei piedi affannati ,

“mettiamoci in salvo!!” ,

guardare in silenzio

quel piccolo folle

fantasma

aspettare incosciente

sdraiato di schiena

sulla piccola riva di sassi ,

con la testa a sfiorare

la strada di ferro .

Arrivava veloce ,

era un tuono potente

e passava vicino ,

allungando una mano

potevo toccarlo ,

ma non avevo paura :

era tutto il coraggio del mondo

che entrava

attraverso la pelle ,

dalla terra che

sotto di me

tremava impazzita .

Ne avevo bisogno .

Sapevo che tutta una vita ,

davanti ,

aspettava di essere presa ,

con le mani ,

con gli occhi ,

con tutto quel piccolo

corpo indifeso ,

già piccolo lupo ,

sull’orlo della

grande tempesta .

E adesso ,

che tutta una vita ho vissuto

con la faccia nel vento

ad esplorare emozioni ,

a capire la gente ,

a cercare nel fondo del cuore

risposte a domande

che nessuno faceva ,

a cacciare nel bosco di notte

le mie verità ,

adesso sei tu

che mi passi vicino ,

che se allungo una mano

posso quasi toccarti .

Vorrei di nuovo

spogliarmi

per te , con te

e prima che tu te ne vada , (“mettiamoci in salvo!!”)

cercare di farti capire……..

….per sempre.

Vorrei abbracciarti ancora una volta

per tutta una notte

e scoprire come posso

farti morire con me .

Vorrei ,

un mattino di tanti anni dopo ,

con la faccia nel vento ,

con gli occhi socchiusi ,

pensare di essere ancora

dentro di te

così tanto

da poterti trovare , dovunque tu sia

e parlarti

e ascoltare le storie

che mi vuoi raccontare ,

seduti lì ,

dove tutto finisce

e tutto inizia .

Vorrei poterti

amare

ancora un minuto ,

tenerti stretta ancora

il tempo di un sospiro ,

per poter sperare

di non diventare mai

nebbia .

 

            IPNOSI

 

TUTTE LE VOLTE

LA STESSA MAGIA .

UN SUSSULTO IMPROVVISO ,

UN LAMPO NEGLI OCCHI ,

E LA VITA SI FERMA ,

UN ATTIMO PRIMA ……

FINO A LI’ TUTTO BENE ,

LO SCORRERE ATTENTO DEL TEMPO ,

I GESTI CONSUETI ,

PERFINO  RITUALI ,

DISEGNANO INTORNO

ARMONIE CONOSCIUTE ,

TRAIETTORIE SOTTO CONTROLLO .

PERSONE GIA’ VISTE

RICERCANO , ATTENTE AI DETTAGLI DI SPAZIO ,

ANGUSTI PERCORSI

OSTRUITI .

PRESENZE MUTEVOLI

MA COMUNQUE ORDINATE ,

SECONDO UNO SCHEMA NON DETTO

NON SCRITTO ,

QUASI UNA IMPROVVISAZIONE

MA STUDIATA , PER ANNI , E CHE ,

QUESTO E’ IL BELLO ,

VIENE SEMPRE DIVERSA ,

E LA STUDI DI NUOVO ,

E TUTTE LE VOLTE E’

UN PO’ DIVERSA DA PRIMA .

FINO A LI’ .

POI SUCCEDE QUALCOSA .

E SUCCEDE UN ATTIMO PRIMA

DENTRO DI TE .

E’ COME SAPERE CHE MUORI

PRIMA CHE JOE BLACK

TI SPARI ALLA SCHIENA .

NULLA SEMBRA AVVISARTI ,

C’E’ LA STESSA ARMONIA CONOSCIUTA ,

IL PENDOLO OSCILLA 

OSSESSIVO E TRANQUILLO ,

EPPURE , PER TE , IL TEMPO

NON SCORRE PIU’

COME PRIMA ,

PER QUALCHE FRAZIONE

TU VIVI UN ATTIMO PRIMA DEGLI ALTRI ,

E NON CAPISCI PERCHE’ ,

MA SAI CHE STAI PER MORIRE .

E ALLORA LA VISTA SI ANNEBBIA ,

IL RESPIRO SI BLOCCA ,

IL TUO CORPO E’ FUORI CONTROLLO ,

COME IN UNA BREVISSIMA IPNOSI ,

ESCI DAL CORO

DEI MOVIMENTI STUDIATI ,

PER ANNI ,

TU SOLO CAPISCI DOV’E’

L’IMPATTO CON LA PERFEZIONE ,

SENZA SAPERLO DAVVERO ,

MA CHI TE LO HA DETTO ,

CHE BISOGNAVA FARE COSI’ ?

E TUTTE LE VOLTE ,

FINITA L’IPNOSI ,

QUANDO IL PENDOLO RIPRENDE

IL SUO MOVIMENTO RITMATO ,

E’ COME USCIRE DA UN SONNO PROFONDO ,

SVEGLIATO DA UN BOTTO IMPROVVISO ,

I BRIVIDI LUNGO LA SCHIENA E NEL COLLO ,

IL CUORE IN TUMULTO ,

LA GIOIA CHE TI AVVOLGE ,

ANCHE PERCHE’ QUANDO GIRI LO SGUARDO ,

E LO VEDI ,

IL PALLONE NEL SACCO ,

MAGIA ,

ADESSO ,

IN QUESTO ESATTO MOMENTO

IL PIU’ GRANDE SEI TU .

 

 

 

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