Alessandro Zilli

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Sarajevo Immagini di vita familiare. vèstiti di rose Scutari Ad Ingrid  

 

 

 

 
Ermira, negli occhi tuoi seri
gravi promesse sul lago.
Un sentimento ch’è vago
ritrovo in pensieri più neri:

Ricordi il nostro penare
durante la guerra civile?
Temevi le guardie, in cortile,
mentre sognavi un altare.

E oggi mia sposa diletta,
tra sfarzi di mille colori,
ti sposo pensando a quel ieri
ed è come raggiunger la vetta

Ritorna il rumore assordante
nei sogni, e mi stringi e mi graffi,
ti svegli lontana, gemente…

Abbraccio, nel nostro nido,
le tue lacrime e il nostro bambino
e sussurri "amore mi fido"

Lo so.

Non sono io quell’uomo cattivo.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

vèstiti di rose,

senza spine.

rose scarlatte

non sentire, ascolta:

 

sarà come le mie dita accarezzarti

e il mio pensiero, 

a te, incline

 

vèstiti di nebbia

nella notte

nebbia che offusca

non tentare, prova:

 

sarà come il ricercare d'un troviére

dalle parole stanche

e dalla voce rotta

 

spogliati di tutto il divenire

e rivestiti d'aurora

e di rugiada

 

saranno le mie labbra ad asciugarti

e il mio pensiero,

per te,

ancora.

 

04/08/04

 

 

 

 

 

Scutari                            

Shkodra (Albania)

Ti ho conosciuta pallida
come un pastello,
avvolta nella nebbia
e nel torpore di una notte
cinquantenne.

Ho visto i tuoi bambini,
zingari e borghesi,
nella ressa del mercato della frutta
e ho raccolto i loro sguardi
profondi, ma senili.

Pomeriggi sui bordi delle strade
i muratori consumano i backgammon
assieme al lauto pasto
e sognano la fuga
dalla polvere.

Ma torno e ti ritrovo devastata
dall’odio e dalla guerra,
in una Babilonia
di carnefici e di santi,
quei bambini.

Fra il pianto dei bengala
improvvisate contraeree
perforano squartando,
e il lago, il tuo bel lago,
è sempre più scarlatto.

Lirì! Demokracì!
Invece, torturato,
rimpiango quei momenti
di gioia e povertà
e muto mi tormento
di fronte allo sfacelo
della grande civiltà.

E prego e m’inginocchio
e grido al cielo e al mare:
"Ti prego mio Signore,
che tu sia Cristo o Allah,
ridona alla mia gente
la sua bella città!"

Ma ancora il pianto serra
la mia voce rabbiosa
e quindi inghiotto
e taccio.

Aspetto che il tuo seno
riprenda ad allattarci,
la tua gamba a cullarci,
le tue dita accarezzarci,

O Rozafa.

Madre, aspetto.

 


 

Una città che pochi conoscono, la città nata dal sacrificio di una giovane madre murata viva per dare luce alla capitale culturale del paese delle aquile, una città devastata che non sa riprendersi ancora dalla più terribile delle guerre, la guerra civile, dove tutti sono contro tutti: i mussulmani contro i cattolici, i cittadini contro i montanari e i contadini, gli zingari contro la fame pronti a depredare come sciacalli ogni casa con l'uscio socchiuso, i socialisti contro i democratici...
Una città fantastica, Scutari, la cattolica.. Il mio grido si leva sopra i suoi tetti e sopra i minareti che svettano accarezzando le nuvole, sopra i due fiumi freddi e impetuosi, sopra le brulle colline e il lago, il grande pescoso lago che tanto ha dato ai pescatori e ai bagnanti e a tutta la città che, oppressa da cinquant'anni del più rigido regime comunista che la storia abbia conosciuto, lotta oggi per rialzare la testa e ricominciare a cantare.
 

 

 

 

 

 

Sarajevo

Casette bianche sulle colline / e lapidi infinite
Luoghi di culto / Caffè turco e palazzi sventrati
e muri devastati dall’acne di piombo

Cerco la moschea / vorrei entrarvi
Orafi e artigiani / e penne a sfera dentro ai bossoli d’ottone
raccontano la storia

Ràkija Ràkija
per dimenticare, / per festeggiare
la fine di una guerra che continua inesorabile

Ràkija Ràkija
per spegnere le fiamme / dentro ai cuori assetati di vendetta
(mi sembra giusto) / e s’ode l’eco sibilante dell’ultima pallottola

Ràkija Ràkija
matrimoni e funerali / che s’intrecciano
come abiti da sposa e lutto che si cuciono / in un’unica bandiera

Stavo lì accasciato su quel brandello di marciapiede
e ho baciato quella polvere pesante /
e Ti ho sognato Verità Assoluta
ma sei rimasta un sogno
ed io
cenere di carne

Inshallah
 

 

 

 

 

ti ascolto
mentre corrono le dita sulla tastiera d’ebano,
ti ascolto
e mi diverte il tuo ripetere e ripetere gli errori all’infinito.
ti sento
mentre imprechi e ti lamenti mentre sudi ogni cadenza
non demordi.
così ti ho conosciuto in biblioteca fra l’ “h” l’ “n” e l’omnia di Vivaldi
fra vecchi plichi inesplorati e manoscritti vergini, tarlati
ora dalla cucina spenta viene un odore acre di cipolla…
mio Dio! l’arrosto! è fatta!
e ancora mi ritrovo a esercitare la tecnica dell’arco sull’acciaio
udendo di lontano un po’ stonato il passo che comincia a migliorare.
L’effetto del violino: lo scorrere del tempo si è fermato.
…e rido del mio ennesimo grattare!

 

Alessandro ed Ingrid

 

 

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